L'ultimo rapporto della Bsa mostra la situazione di diffusa illegalità che regna nel settore dell'IT italiano e spiega che un calo anche lieve della pirateria creerebbe 6.000 nuovi posti di lavoro.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 06-02-2008]
Chi non conosce la Business Software Alliance, meglio nota come Bsa, che dal 1988 riunisce i maggiori produttori di software e vigila affinché la pirateria non si diffonda nel mondo dell'informatica?
Tenendo fede alla sua missione, Bsa rilascia periodicamente dei rapporti con cui aggiorna il quadro della situazione del software illegale: sotto questo punto di vista, l'Italia non deve essere molto amata.
Ben il 51%, infatti, del software italiano è contraffatto, illegalmente copiato, acquistato o scaricato: poco più della metà dei Pc del paese, insomma, si trova a operare tramite software non conforme alle leggi sul copyright e la proprietà intellettuale.
La lotta alla pirateria, secondo l'Alto Commissario per la lotta alla contraffazione Giovanni Kessler, "è innanzitutto una battaglia culturale". Usare software illegale non è solo un danno per le società produttrici ma anche "un'azione diretta di evasione fiscale, un danno recato a tutta l'economia e a tutti i cittadini, un incentivo diretto alla criminalità organizzata di natura mafiosa".
Kessler sottolinea ancora che la maggior parte della gente non è consapevole delle conseguenze dell'uso di programmi piratati e continua come niente fosse. D'altra parte molti utenti potrebbero dire che se il software fosse meno costoso non ci sarebbe bisogno di ricorrere a copie pirata; la Bsa potrebbe quindi rispondere che quelli che attualmente sono mancati introiti potrebbero permettere di abbassare i prezzi.
In questo circolo vizioso, i sostenitori dell'Open Source potrebbero sostenere che per chi non abbia necessità di programmi particolari, sistemi operativi e applicazioni disponibili legalmente senza spendere un centesimo (salvo il costo della connessione a Internet e di un Dvd) già esistono.
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