Gli utenti sono gli unici perseguibili per le loro azioni.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 20-09-2016]
La questione è dibattuta da lungo tempo: chi mette a disposizione la propria rete Wi-Fi e qualcuno la usa per commettere un reato, è anch'egli responsabile?
Secondo la Corte di Giustizia dell'Unione Europea, la risposta a questa domanda è un no.
L'occasione per riflettere sul problema è stata offerta da Sony, che nel 2010 ha citato in giudizio il cittadino tedesco e membro del Partito Piarata Tobias McFadden.
McFadden, che gestisce un negozio di sistemi audio e di illuminazione, offre ai clienti che lo vanno a visitare l'accesso gratuito alla propria rete Wi-Fi.
Il guaio è che, secondo Sony, sei anni fa detta rete è stata adoperata per condividere illegalmente in Internet degli album musicali: per questo motivo il gigante giapponese ha portato McFadden in tribunale, dove ha chiesto al giudice di obbligare l'accusato, tra le altre cose, a impedire future violazioni proteggendo la rete Wi-Fi con una password e chiudendo le porte normalmente adoperate per il file sharing, oltre che registrando ogni azione degli utenti.
A tutto ciò si deve aggiungere la richiesta che l'uomo fosse considerato corresponsabile degli atti compiuti dai suoi utenti. Ed è proprio da questo punto che è nata la richiesta di intervento della Corte di Giustizia europea.
Dopo aver esaminato il caso, i giudici di Lussemburgo sono ora arrivati a una decisione.
Innanzitutto, hanno stabilito che l'offerta di una connessione Wi-Fi aperta e gratuita, elargita allo scopo di attirare clienti in un negozio (come nel caso di McFadden), costituisce «un servizio della società dell'informazione».
Perché il proprietario della rete non sia ritenuto corresponsabile degli illeciti commessi dai suoi utenti occorrono tre condizioni: egli non deve essere stato colui il quale ha iniziato la trasmissione, non deve aver scelto il destinatario della trasmissione e non deve aver selezionato né modificato le informazioni contenute nella trasmissione.
In altre parole, potremmo dire che chi mette a disposizione la rete Wi-Fi non deve essere coinvolto in alcun modo nelle comunicazioni effettuate dai suoi utenti.
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«Se le tre condizioni sono soddisfatte, un fornitore di servizio come il signor McFadden, che fornisce accesso a una rete di comunicazioni, non può essere ritenuto responsabile» scrive la Corte.
«Di conseguenza, il detentore dei diritti d'autore non può richiedere alcuna compensazione sulla base del fatto che la rete è stata usata da una terza parte per infrangere i suoi diritti».
Fino a qui sembrerebbe che la Corte abbia deciso di dar ragione a McFadden, ma c'è ancora una parte della sentenza che va tenuta in considerazione e che cerca di bilanciare quanto deciso sino a ora.
La Corte infatti spiega che, in base alla direttiva sul copyright, il detentore dei diritti ha facoltà di richiedere «a un'autorità nazionale o a una corte di ordinare al fornitore del servizio di cessare, o prevenire, ogni violazione del diritto d'autore commessa dai suoi utenti».
Ciò in pratica apre la porta all'accoglimento da parte di un tribunale tedesco della richiesta di Sony circa l'imposizione di una password per la rete Wi-Fi e l'identificazione degli utenti: non a caso, «la Corte sottolinea che, per assicurare l'effetto deterrente, è necessario imporre agli utenti di rivelare la loro identità per evitare che agiscano anonimamente prima di aver ottenuto la password richiesta».
Non si devono, invece monitorare le comunicazioni né adottare misure drastiche - come la «completa terminazione della connessione a Internet» - senza aver prima adottato tutte le possibili misure meno restrittive.
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