Blue Whale, mito di morte pericolosamente gonfiato

Dal giornalismo sensazionale.



[ZEUS News - www.zeusnews.it - 21-05-2017]

morto blue whale

Vorrei dirlo subito, chiaro e tondo: il Blue Whale Challenge, la serie di sfide che porterebbero al suicidio di cui si parla tanto ultimamente, soprattutto dopo un servizio trasmesso da Le Iene il 14 maggio scorso, è un mito senza prove.

Ma è un mito che rischia di trasformarsi in realtà se si continua a parlarne in modo irresponsabile, sensazionalista e acchiappaclic, quasi compiacendosi di raccontarne i dettagli, di descrivere l'elenco preciso delle sfide da superare, come stanno facendo tanti giornali e come ha fatto appunto Le Iene con un servizio agghiacciante, durato oltre mezz'ora, che ha indugiato lungamente su immagini scioccanti ma ha portato ben pochi elementi concreti e ha spesso creato accostamenti falsi e ingannevoli.

Continuare con questi toni gridati, spettacolarizzare le sofferenze, rischia di creare solo fascino morboso e di ispirare emulatori invece di affrontare seriamente un problema gravissimo come quello del suicidio fra gli adolescenti.

iene

Provo quindi a fare un passo indietro ed esaminare con calma i fatti. Ma prima vorrei mettere in chiaro un'altra cosa: le persone crudeli, i malati di mente, gli idioti che per malsano divertimento o incoscienza istigano i ragazzi e le ragazze a fare cose pericolose o a compiere gesti estremi esistono realmente, e da sempre, su Internet e fuori da Internet. Poco importa se stavolta si fanno chiamare Blue Whale (balenottera azzurra, non "balena blu") o in qualunque altro modo. Quello che conta è che questi istigatori, "curatori" o "tutor" non hanno poteri magici, non sono una setta o un culto internazionale organizzato, e non è vero che vanno in giro a ricattare e punire chi si rifiuta di seguire le loro istruzioni.

Questa gente disturbata ha potere soltanto se glielo diamo noi: se i genitori lasciano che i figli giovanissimi parlino con gli sconosciuti e girino su Internet senza tenerli d'occhio e senza spiegare loro com'è il mondo; se si crede a tutto quello che si vede su Internet; se i giornalisti presentano questi adescatori come dei geni della perversione e si attaccano a etichette di facile presa come appunto Blue Whale Challenge.

Il Blue Whale Challenge è come Slenderman o Talking Angela: esiste e fa danni solo se crediamo che esista e gli diamo visibilità senza fare critica. Più lo pubblicizziamo e ci concentriamo sul mito, parlandone in toni di certezza (Gdp.ch, per esempio, anche qui), più lo rinforziamo e facciamo il suo gioco. Non facciamoci trollare crudelmente.

I fatti e le origini

Secondo le indagini del giornalista Russell Smith, del collega debunker David Puente, di Know Your Meme, de Il Post e del sito antibufala Snopes, il mito del Blue Whale Challenge è iniziato a maggio del 2016, quando la rete televisiva russa RT (Russia Today) ha trasmesso un servizio sui gruppi di discussione sul suicidio presenti sul social network VK.

Sempre a maggio del 2016, un'altra testata giornalistica russa, la Novaya Gazeta, ha citato per la prima volta specificamente qualcosa che somiglia al Blue Whale Challenge («киты плывут вверх» e simili), dichiarando che su 130 suicidi giovanili avvenuti in Russia fra novembre 2015 e aprile 2016 almeno 80 erano collegati a questa serie di sfide e a vari gruppi che usano la balena come nome o simbolo (non specificamente al BWC).

La risonanza di questo servizio e di questo articolo inevitabilmente ha generato imitatori, per cui in Rete ha preso a diffondersi una serie di immagini e di memi dedicati alle varie sigle e parole chiave incentrate sulle balene. E non sono mancati gli sciacalli che hanno speculato sulla vicenda creando pagine social sul tema, che generavano guadagni pubblicitari, come nota Sofia Lincos su Queryonline.

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A novembre 2016 il sito di notizie russo RBTH ha annunciato l'arresto di un uomo, Filipp Budeikin, accusato di aver gestito un gruppo dedicato al suicidio su VK. Ma RBTH non ha menzionato specificamente il Blue Whale Challenge. Non c'è nessun legame fra Budeikin e il BWC. Eppure l'arresto è stato interpretato lo stesso come una conferma dell'esistenza e dell'efficacia del Blue Whale Challenge.

Le dichiarazioni sprezzanti di Budeikin sulle proprie vittime, riportate mesi dopo dai giornali sensazionalisti di lingua inglese (Daily Mail e Metro) e dalla BBC, provengono da un solo sito russo ma sono rimaste prive di qualunque conferma. Budeikin si è dichiarato colpevole di istigazione al suicidio di almeno 16 ragazze; ma non è chiaro se le ragazze abbiano seguito fino in fondo le sue istruzioni.

Sono stati ancora i giornali scandalistici britannici a pompare la notizia a febbraio e marzo di quest'anno: il Daily Mail, il Daily Express e il Sun hanno ripetuto il dato sbagliato dei 130 morti attribuiti al BWC senza fare alcuna verifica, copiando ciecamente le prime fonti russe (ma, va detto, precisando quasi sempre in piccolo che non ci sono conferme). La polizia britannica ha pubblicato un tweet di avvertimento ai genitori, a titolo prudenziale in risposta agli strilli di questi giornali, e questo per molti adulti ha "autenticato" la storia.

Ma i giornalisti che fanno indagini, come quelli di Radio Free Europe, hanno notato a febbraio 2017 che né i 130 suicidi né l'arresto in Russia sono stati legati concretamente al Blue Whale Challenge. I giornalisti di RFE hanno tentato di infiltrarsi in presunti gruppi BWC usando false identità ma non hanno trovato nulla, tranne un presunto "curatore" che però dopo la prima sfida (simulata dai giornalisti) è sparito.

Le parole di Matteo Viviani nel servizio de Le Iene sono insomma sbagliate e ingannevoli: a parte le dichiarazioni di un intervistato (Sergey Pestov), non ci sono prove che "centinaia di adolescenti si sono suicidati [...] per seguire le regole di un macabro gioco: la Blue Whale" (a 1:50). Il servizio stesso indica che nel caso del ragazzo suicidatosi a Livorno non ci sono prove di legame specifico con il Blue Whale Challenge (a 23:20). Anzi, la dichiarazione del dirigente locale della Squadra Mobile, Giuseppe Testaì, smentisce quest'ipotesi: "Si tratta di un dramma privato, legato a motivi esclusivamente familiari". Quindi tutta la parte del servizio de Le Iene dedicata a tentare di collegare questo suicidio al Blue Whale Challenge intervistando un compagno di scuola è una bufala.

Anche i video mostrati nel servizio de Le Iene, veri o falsi che siano, non contengono alcun riferimento preciso al Blue Whale Challenge ma sono facilmente reperibili con una ricerca in Google, come notano i commenti dei lettori qui sotto.

In Svizzera, invece, il caso che Tio.ch dichiara confermato nel Canton Vaud è basato esclusivamente su una telefonata al numero di un'associazione di sostegno ai giovani (147); l'altro caso riportato da Le Nouvelliste è pura congettura: "à ce stade des investigations, il n'y a aucun lien avéré avec ce "Blue Whale Challenge". Rien n'indique que la jeune fille était dans cette démarche. Nous privilégions pour l'heure la piste d'un défi lancé entre camarades", dice la polizia (ma questo non ha impedito al titolista di citare il Blue Whale Challenge).

Conclusioni

Dall'analisi dei fatti emerge insomma che Blue Whale è solo una delle tante etichette, più o meno temporanee, di un problema ben più durevole e ampio: quello dei gruppi online e delle pagine dei social network che alimentano il disagio giovanile e sono infestate da bulli e predatori. È importante parlare della questione nel suo complesso con i propri figli e, se siete docenti, con i propri studenti, per evitare che si diffondano false credenze sull'onnipotenza di questi "tutor"  o "curatori", come è già accaduto per altri casi, come appunto Slenderman.

Concentrarsi solo su questa sigla, o sulle altre che circolano, e tentare di attribuire ogni suicidio giovanile al Blue Whale Challenge è quindi soltanto una pigrizia mentale, una scorciatoia giornalistica per creare titoli sensazionali e acchiappaclic, che rischia di distrarci dalla vera questione, di scatenare psicosi e di dare una gruccia verbale comoda agli sciacalli.

Le prime conseguenze di questo genere si stanno già facendo sentire: circola infatti la falsa notizia di una prima vittima italiana del Blue Whale Challenge ad Avellino, ma è opera di un sito sparabufale. Un lettore mi segnala un altro esempio di sciacallaggio acchiappaclic in Italia:

clickbait

Un'altra conseguenza assurda di questo clima di isteria è che ci sono app e locali il cui nome richiama per puro caso la balenottera azzurra e che per questo vengono inondati di insulti e di recensioni negative da utenti che chiaramente non hanno capito un'acca di come funziona Internet (o il mondo, probabilmente). Per non parlare delle teorie di complotto anti-Putin de Il Giornale.

Fonti aggiuntive: Tio.ch, Butac.it (video), Bufale.net, Thatsmag, Wired UK, Vita.it, The Submarine, Ansa, Tio.ch.

Ti invitiamo a leggere la pagina successiva di questo articolo:
Blue Whale Challenge, qualche dato per riflettere

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Paolo Attivissimo

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Commenti all'articolo (ultimi 5 di 7)

A volte mi viene il dubbio che l'uomo non sia ancora pronto per una totale libertà dell'informazione - che facilmente è condita da aspetti sensazionalistici per puro scopo di lucro - come pure non è pronto per una democrazia vera poiché si fa sempre, facilmente, abbindolare da qualsiasi venditore di fumo che gli racconta bufale per il... Leggi tutto
4-6-2017 11:26

{Franco}
Bravo attivissimo
30-5-2017 20:07

{Sandrone55}
Complimenti per l'articolo !! E vergogna a quei media che per comodità, danno voce a tutte le pazzie di pochi, spacciandole per diffuse. Così promuovono ed allargano i fenomeni più strani rendendo "importanti" i loro autori che, a dir molto poco, non sono certo lungimiranti.
24-5-2017 13:45

Io non mi fido ciecamente delle affermazioni di nessuno. Di nessun giornalista, politico, amico, parente, talvolta neanche di me stesso. Ma se Paolo Attivissimo scrive una cosa, so che al 99% è vero (il 100% lo lascio a Nostro Signore).
23-5-2017 16:08

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