Il canone Rai è un prelievo fiscale a tutti gli effetti su cui la Commissione Tributaria è giudice esclusivo; ma esiste qualche nuovo sospetto di incostituzionalità.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 26-11-2007]
Con sentenza 535/1988, anni addietro la Corte Costituzionale aveva già adombrato l'incostituzionalità del canone Rai; pur decidendo di non decidere, lasciava capire come l'aspetto fiscale fosse prevalente, nonostante i dubbi sollevati da più parti e specialmente in ambito dottrinario.
Ora l'ha ribadito anche la Suprema Corte di Cassazione con sentenza 24010 del 20/11/2007, che a sezioni unite ha accolto il ricorso della RAI avverso una sentenza del Giudice di Pace di Treviso senza neppure entrare nel merito, in quanto ha ritenuto fondata la questione pregiudiziale sul difetto di giurisdizione da parte della magistratura ordinaria.
La sostanza è nota, capirci qualcosa un po' meno facile. Infatti il ricorrente aveva contestato davanti al magistrato di non essere possessore di alcun apparecchio in grado di ricevere le trasmissioni radiotelevisive e che quindi era illegittimo il fermo amministrativo su alcuni suoi beni esercitato dal concessionario alla riscossione per canoni non pagati allo Sportello Abbonamenti Televisivi (SAT, già URAR).
Se si trattasse di un canone misto, formato cioè in parte da addebito per concessione governativa e in parte per rifusione all'Ente Rai delle spese di funzionamento del servizio pubblico, la cosa sarebbe anomala ma senza storia; una specie di tassa abbinata a una sostanziosa elemosina gravante sulla spalle di qualsiasi possessore di apparecchio genericamente in grado di ricevere trasmissioni.
Il guaio è che le cose non stanno (solo) così; infatti anche i Pc, i videofonini e tanti altri aggeggi elettronici ormai entrati nell'uso comune rientrerebbero nel genere, e quindi soggetti al tributo se utilizzati al di fuori dell'abito domestico.
Il relativo balzello non è perciò una "tassa", cioè una prestazione numeraria a favore dello Stato in cambio di un servizio reso su richiesta (teleradioaudizioni), ma una vera e propria "imposta" cioè un pagamento imposto a vantaggio di tutta la collettività per servizi generali invece che specifici.
Tuttavia la nostra Carta costituzionale all'art. 53 prevede che i prelievi tributari generali si facciano avuto riguardo alla "capacità contributiva", cioè a quella quota di reddito rapportato alle entrate dei contribuenti e non al loro insopprimibile desiderio di spettacoli teletrasmessi; per cui un balzello iniquo, incomprensibile e malvisto è di fatto anche diventato non in regola con la Costituzione.
Un altro motivo - neppure troppo marginale - di sospetta incostituzionalità risiede nella circostanza che le Commissioni Tributarie non sospendono l'esecuzione coattiva, a meno che il ricorrente non dimostri il "grave pregiudizio" richiesto dalla legge; e francamente sembra esagerato il complesso di norme messe in gioco per difendere i privilegi di un ente privato che ormai sembra aver completamente rinunciato al solo compito per il quale era stato inizialmente concepito.
Per i contribuenti, dopo il danno anche la beffa; le vicissitudini a cui si dovrebbero assoggettare i sudditi di "mamma RAI" per disdire il cosiddetto "abbonamento" a spettacoli insulsi e notiziari taroccati sono inenarrabili, non gratuite e comunque a rischio di flop; ma questa è ancora un'altra storia, compreso il fatto che la RAI è una SPA, cioè una società privata anche se di proprietà e con controllo esclusivo dello Stato.
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merlin