Basta con gli e-boicottaggi

Di fronte ai risultati delle campagne di boicottaggio, alcune considerazioni: non sarebbe meglio indirizzare i nostri consumi verso campagne positive e propositive? Ancor meglio, rimboccarsi le maniche e proporre qualcosa di alternativo?



[ZEUS News - www.zeusnews.it - 24-09-2004]

Finora, lo strumento di intervento "naturale", a livello di associazioni, per contrastare ciò che non va nel mondo, è stato essenzialmente il boicottaggio. Si boicottano le multinazionali, soprattutto quelle il cui comportamento è in qualche misura antisociale, si boicotta l'universo dei commercianti per un intero giorno, anticipando e rimandando gli acquisti quotidiani, si boicottano i prodotti reclamizzati negli odiosi spot che interrompono i film alla TV, illudendosi in questo modo di essere in qualche maniera immuni alla pubblicità.

La padronanza della Rete da parte di un numero sempre maggiore di persone, ha ingigantito un tam-tam che fino a poco tempo fa era essenzialmente orale. Così sono nati gli e-boicottaggi. Personalmente, non ne sono mai stato entusiasta, qualche volta appaiono, è vero, sacrosanti, come quelli sui cd-protetti, che abbiamo sempre sostenuto, ma spesso si rivelano delle volgari menzogne, come quelle che abbiamo trattato all'interno del servizio antibufala.

Ma, aldilà degli episodi singoli, è la modalità di lotta dell'e-boicottaggio che non ci convince, per una serie di motivi. Primo fra tutti, l'efficacia. Raramente notiamo nelle aziende oggetto di boicottaggio segnali di ravvedimento, segno che l'impatto di queste campagne non riesce nemmeno a scalfire la quota di mercato che la multinazionale, o il cartello di commercianti, considera "soddisfacente".

Per fare un esempio attuale, abbiamo la sensazione che dietro gli sbandierati successi dell'ultima astensione contro l'aumento dei prezzi ci sia ben poco arrosto. E così la pensano, evidentemente, governo e rappresentanti della grande distribuzione, che si sono bellamente disinteressati dei consumatori e della protesta da loro inscenata, per proporre la loro ricetta per il controllo dei prezzi: un accordo lisergico, di cui diamo conto sul blog "Quelli di Zeus".

E le rare volte in cui il boicottaggio è un successo, sono altre le perplessità: i danneggiati da questo comportamento non sono mai i manager nè gli azionisti delle multinazionali, ma in genere i lavoratori, che possono subire pesanti ripercussioni. D'altro lato si va a favorire i concorrenti dell'azienda boicottata, spesso macchiati dalle stesse colpe.

Infine, considero una grande debolezza questa propensione, innata soprattutto nel movimento antagonista, a dire sempre e solo no. Lo dico con rammarico, perchè in qualche misura mi identifico con questo modo di pensare. È un atteggiamento molto disimpegnato, tipico di chi non vuole sporcarsi le mani. Ma è anche un segno di incapacità di proporre alternative praticabili.

Eppure, l'esperienza insegna che i risultati migliori si ottengono quando dal basso nascono proposte, fatti, modelli economici realistici (già ne abbiamo parlato). Nella fattispecie, perchè, invece di dire "no" a qualcuno, non diciamo "sì" a qualcun altro?

Si avrebbero numerosi vantaggi, un tangibile successo economico del "prescelto", non effimero come l'insuccesso commerciale del boicottato. Questo permetterebbe una misura del reale potere di pressione del movimento. È vero, non si potranno più modificare i risultati a piacimento, ma affrontare i numeri richiede l'assunzione di qualche rischio.

Con il boicottaggio alla rovescia si scatenerebbe, sul serio, l'emulazione di comportamenti chiari, e non la sensazione, per il boicottato, di essere preso di mira, di essere oggetto di un complotto ordito da qualche furbone che utilizza senza scrupoli dei fresconi idealisti. E per noi, diciamocelo, gente di animo pacifico, è più appagante premiare un virtuoso, piuttosto che punire un vizioso.

Uno spunto in più viene da Kenny di Rekombinant, in un articolo, Rizome Incorporated, visibile tra l'altro sull'interessante sito di Open Economy. Qui si propone di creare un'"impresa, globale ma reticolare, unitaria ma decentrata, etica ma redditizia", permettendo così ai consumatori di scegliere le imprese "del movimento".

Lo scritto, che si propone di essere una provocazione ed uno stimolo ad un dibattito, non è ovviamente esauriente: non si capisce, tra l'altro, quale dovrebbe essere la discriminante tra un'impresa "del movimento" ed una esterna. Per esempio, non credo che basterebbe a Tronchetti Provera farsi vedere in una manifestazione contro la guerra con sciarpa rossa e striscione, per etichettare il gruppo Telecom come funzionale al movimento.

Potremmo iniziare col favorire le imprese no-profit, cioè aziende non sganciate completamente dalla logica del mercato (devono sopravvivere, pagare lavoratori, tasse e fornitori), ma che non hanno nello statuto il fine del lucro, sostituito da una causa cui devolvere l'avanzo del bilancio. Un esempio qui.

Non è un gran che, ma come inizio è chiaro.

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