Il pianeta morto

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Il pianeta morto
Titolo originaleAstronauci
AutoreStanisław Lem
1ª ed. originale1951
1ª ed. italiana1963
Genereromanzo
Sottogenerefantascienza
Lingua originalepolacco

Il pianeta morto (Astronauci1951) è il primo romanzo di fantascienza pubblicato dallo scrittore polacco Stanisław Lem.

Dal romanzo è stato tratto nel 1960 il film Soyux-111 - Terrore su Venere, ma lo scrittore disconobbe la trasposizione cinematografica.

Trama[modifica | modifica wikitesto]

L'umanità alle soglie del XXI secolo, dopo aver visto guerre e lotte sanguinose per la supremazia sul proprio simile, raggiunge un equilibrio mondiale con l'eliminazione di ogni forma di capitalismo e l'avvento di un ordinamento comunista in una pacifica coesistenza di tutti gli uomini, ora impegnati unicamente al miglioramento di se stessi.

Proprio quando la guerra era un concetto ormai dimenticato, in seguito ad un terremoto vengono rinvenuti a Tunguska i resti di un'astronave aliena, proveniente da Venere e precipitata sulla Terra nel 1908; la traduzione parziale di un documento, parte del ritrovamento, rivela l'intenzione di una civiltà extraterrestre di invadere, a scopo di conquista, la Terra.

Il progresso tecnologico, catalizzato dal nuovo ordinamento sociale ed economico, permette all'uomo di sfruttare le forze della natura per fini etici, e l'esplorazione spaziale diventa una realtà, ma al tempo stesso vi è la certezza di avere i mezzi necessari per poter annientare la razza ostile. Tuttavia, la prova che esistono forme di vita in altri mondi, rende indispensabile il tentativo di costruire una coesistenza pacifica; una nave, il Kosmokrator, parte dalla Terra per raggiungere Venere e stabilire un contatto. L'equipaggio di scienziati troverà i resti di una civiltà superiore che, prima di poter attuare il proprio piano di conquista, si è autodistrutta in una guerra per la supremazia di singoli partiti, lasciando quindi un pianeta morto.

Commento[modifica | modifica wikitesto]

Questo romanzo va interpretato nel contesto politico e sociale dell'epoca, dove aveva inizio quella corsa all'esplorazione spaziale che si è protratta, con notevole spinta economica, fino alla fine della guerra fredda, in una sorta di gara di prestigio tra le superpotenze URSS e USA.

L'idea di poter raggiungere ed esplorare i pianeti vicini alla Terra era quanto mai popolare, ed è una coincidenza singolare che l'Unione Sovietica detenga il primato di sonde spaziali inviate su Venere nei decenni successivi, molte delle quali sono atterrate sulla superficie, riuscendo ad inviare dati e fotografie (Venera13).

L'espressione, da parte dell'autore, di un chiaro messaggio politico, è evidente, ma non è affatto superficiale; tutto il romanzo, sistematicamente e con dovizia di dettagli, si addentra nella natura umana, e rappresenta l'uomo che, raggiunto uno stato di equilibrio pacifico, vede nei popoli di Venere il riflesso di sé stesso, in un ipotetico specchio che mostra il lato peggiore: un monito affinché continui la sua opera per la pace e la vita a discapito di guerra e morte.

L'applicazione di una ferrea rigorosità scientifica, tipica di Stanisław Lem, trova piena conferma in questo romanzo, a partire dall'evento scatenante: nel 1908 a Tunguska è realmente caduto sulla terra il più grande meteorite dell'epoca moderna.

Lem pone minuziosamente l'accento sullo studio di mezzi di propulsione aeronautici, riportando una cronologia degli sviluppi a partire dalla realtà, in riferimento al 1951, fino a giungere al fantascientifico motore nucleare che muove il Kosmokrator. La preparazione del punto di vista scientifico dell'autore (non a caso uno dei fondatori dell'Accademia di cibernetica ed aeronautica nel proprio paese) è confermata dal fatto che ad oggi, in merito ai sistemi di propulsione spaziale, non vi è una tale distanza tecnologica rispetto a quelli descritti inizialmente nel romanzo, e che tuttora la ricerca punti decisamente allo sviluppo di razzi nucleari.

Edizioni italiane[modifica | modifica wikitesto]

  • Il pianeta morto, traduzione dal polacco di Elena Strada Montiglio, Baldini & Castoldi, Milano, 1963.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]