Manis

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Pangolino
Manis javanica
Stato di conservazione
In pericolo
Classificazione scientifica
Dominio Eukaryota
Regno Animalia
Phylum Chordata
Classe Mammalia
Sottoclasse Theria
Infraclasse Eutheria
Superordine Laurasiatheria
(clade) Ferae
Ordine Pholidota
Weber, 1904
Famiglia Manidae
Gray, 1821
Genere Manis
Linnaeus, 1758
Specie

I pangolini (gen. Manis, Linnaeus, 1758), conosciuti anche come "formichieri squamosi", sono gli unici mammiferi viventi a rappresentare l'ordine dei folidoti.

Rappresentazione di un pangolino in una tavola degli Acta Eruditorum del 1689

Sistematica[modifica | modifica wikitesto]

Nelle vecchie classificazioni, i pangolini erano ritenuti forme particolari di sdentati (Edentata), gruppo che comprendeva anche gli armadilli, i formichieri e i bradipi, ma recenti evidenze genetiche lasciano supporre che i più stretti parenti viventi dei pangolini siano gli organismi dell'ordine dei carnivori, con i quali formano il clade Ferae all'interno del vasto superordine Laurasiatheria.[1]

La proposta di classificare i pangolini nell'ordine (o superordine) dei cimolesti, che comprende molti gruppi estinti come i pantolesti e i pantodonti, anch'essi appartenenti a Ferae, non è stata accolta dalla maggioranza degli autori. Pertanto, nella classificazione qui adottata,[2] i Folidoti sono considerati un ordine a sé stante.

Il genere comprende le seguenti specie:

I Pangolini sono animali che hanno il corpo ricoperto da squame cornee costituite di cheratina, sovrapponendosi l'una all'altra, formano una sorta di "corazza a piastre". Solo il ventre, la parte interna delle zampe, il muso e le parti laterali del capo sono scoperti. La corazza è costruita in modo da permettere all'animale di appallottolarsi se spaventato. Le squame sono affilate e possono essere usate (in particolare quelle della coda) come armi. I piccoli pangolini possiedono squame morbide, che si induriscono quando l'animale matura. I pangolini sono gli unici mammiferi che hanno il corpo ricoperto di squame.

Il pelo è presente nelle zone libere dalle squame e nelle specie asiatiche anche negli interstizi tra le squame.

Gli artigli anteriori dei pangolini, usati principalmente per scavare, sono estremamente lunghi e costituiscono un impedimento quando l'animale cammina sul terreno. La coda è lunga e, in alcune specie, prensile e serve anche da contrappeso per il corpo appesantito dalla corazza. Gli occhi sono piccoli e solo le specie asiatiche hanno orecchi esterni. La vista e l'udito deboli sono compensati da un olfatto sviluppatissimo.

La lunga lingua, adatta alla cattura di formiche e termiti, non è collegata all'osso ioide, ma, analogamente a quanto accade, per un fenomeno di convergenza evolutiva, nel formichiere gigante, proviene dalla cavità toracica. I pangolini sono completamente sprovvisti di denti. Una funzione trituratrice è svolta dallo stomaco, che per muscolatura e rivestimento interno ricorda il ventriglio degli uccelli. Per aiutare la triturazione spesso sono ingoiati sassi.

La taglia dei pangolini varia da specie a specie, ed è compresa tra i 30 e i 100 centimetri di lunghezza. Le femmine, generalmente, sono più piccole dei maschi.

Biologia[modifica | modifica wikitesto]

I pangolini sono animali territoriali e solitari. Per marcare il territorio emettono un acido fortemente odoroso da ghiandole posizionate nei pressi dell'ano; l'odore sprigionato da queste ghiandole assomiglia a quello delle moffette.

La maturità sessuale è raggiunta in uno o due anni. La durata media della vita è intorno ai 13 anni.

Distribuzione e habitat[modifica | modifica wikitesto]

Le specie attuali vivono nelle zone tropicali dell'Asia meridionale e del sudest e dell'Africa subsahariana. Un tempo l'ordine era molto più diffuso: sono stati rinvenuti fossili di pangolini sia in Europa sia in America settentrionale.

Evoluzione[modifica | modifica wikitesto]

Le prime forme note di pangolini risalgono all'Eocene medio (circa 49 milioni di anni fa) e mostrano già spiccati adattamenti a una dieta a base di insetti, nonché la tipica corazza costituita da squame cheratinose (ad es. Eomanis). Contemporaneo a queste forme arcaiche è Eurotamandua, considerato attualmente un pangolino privo di squame. Un altro pangolino basale, probabilmente privo di squame, è Euromanis. Nel corso dell'Eocene e dell'Oligocene si svilupparono varie forme (Patriomanis, Cryptomanis, Necromanis) che mostrano via via maggiori adattamenti e specializzazioni, sempre più simili alle forme odierne.

Conservazione[modifica | modifica wikitesto]

Lo stato di conservazione delle specie di pangolino è tra vulnerabile[3] e fortemente a rischio estinzione.[4]

I pangolini vengono cacciati per la loro carne prelibata, sia nel continente africano[5] che in quello asiatico.[6] Nonostante la messa al bando del commercio di carne di pangolino, il contrabbando della sua carne è comunque un problema in alcuni paesi.[5] Anche le squame di pangolino costituiscono oggetto di contrabbando.[7][8]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Beck et al., BMC Evolutionary Biology 2006, 6:93, disponibile qui
  2. ^ (EN) D.E. Wilson e D.M. Reeder, Mammal Species of the World. A Taxonomic and Geographic Reference, 3ª ed., Johns Hopkins University Press, 2005, ISBN 0-8018-8221-4.
  3. ^ Smutsia temminckii (Cape Pangolin, Ground Pangolin, Scaly Anteater, South African Pangolin, Steppe Pangolin, Temminck's Ground Pangolin), su iucnredlist.org. URL consultato il 12 aprile 2016.
  4. ^ Manis javanica (Malayan Pangolin, Sunda Pangolin), su iucnredlist.org. URL consultato il 12 aprile 2016.
  5. ^ a b Il contrabbando dei pangolini, il Post, 20 aprile 2013. URL consultato il 23 maggio 2020 (archiviato il 2 luglio 2019).
  6. ^ Pangolino a rischio estinzione: la sua carne è uno status symbol in Asia, Corriere della Sera, luglio 2014. URL consultato il 23 maggio 2020.
  7. ^ Il commercio illegale di pangolini è in costante aumento, National Geographic, 27 febbraio 2020. URL consultato il 23 maggio 2020 (archiviato dall'url originale il 27 maggio 2020).
  8. ^ Pangolino a rischio estinzione, un contadino in Uganda lo difende, la Repubblica, 17 giugno 2019. URL consultato il 23 maggio 2020 (archiviato il 30 dicembre 2019).

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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