Torino

"Quelle mutande faranno storia
perciò Cota deve dimettersi"

L'ex leghista Davico e lo scandalo dei rimborsi: "I boxer verdi sono diventati il simbolo del degrado del Paese, magari alla fine non ci saranno condanne ma certi comportamenti restano odiosi e incomprensibili. Comunque anche il Pd dimostra poco coraggio"

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MICHELINO Davico è un leghista della prima ora. Nell'ultimo governo Berlusconi era sottosegretario agli Interni, ministero allora in mano a Roberto Maroni. Ed è stato per anni uno dei punti di riferimento della Lega soprattutto cuneese, uno dei vertici di quel "triangolo verde" con il consigliere regionale Federico Gregorio e Gianna Gancia che, grazie all'asse con il suo compagno Roberto Calderoli, ha garantito al Carroccio piemontese incarichi istituzionali prestigiosi. Ora però esce dalla Lega e entra a gamba tesa nello scandalo Rimborsopoli.

Senatore, cosa pensa delle spese pazze dei consiglieri regionali e di Roberto Cota?
"Ci sono momenti nei quali bisogna sapere capire il contesto e non resistere per forza: c'è la crisi, le persone normali non arrivano a fine mese. I politici non possono pensare di fare pranzi e cene con soldi pubblici. Dal punto di vista penale, probabilmente, alla fine le spese saranno spiegate, poi c'è da dire che le norme erano vaghe. La verità però è che non ci si può nascondere. In Piemonte la politica ha tenuto comportamenti odiosi e incomprensibili per l'opinione pubblica".

Si riferisce ai mutandoni per i quali il governatore ha chiesto il rimborso?
"Le mutande verdi di Cota resteranno nella storia di questo Paese. Sono come il fuoristrada di Fiorito, quando a Roma nevicava. L'altro giorno a Napoli la gente protestava e sventolava mutande verdi. Sono diventate il simbolo del degrado di questo paese".

Secondo lei Cota dovrebbe dimettersi?
"Assolutamente sì. Non si possono sostenere a lungo queste situazioni, togliere il sedere da quelle poltrone è difficile, sono posti di responsabilità, ma sono anche comodi, toccano le soddisfazioni e le ambizioni di ciascuno. Ma ci sono momenti nei quali bisogna sentire la responsabilità del proprio ruolo e dimettersi tutti, avere il coraggio di dire che è finita e voltare pagina".

Quindi lei appoggia la proposta del Pd di dimettersi tutti per porre fine alla legislatura?
"Ma non lo fanno anche loro. Non si può dire "ce ne andiamo a marzo", quando i Forconi saranno ancora più arrabbiati. Serve un atto di coraggio: io mercoledì ho votato, contro il mio partito, la fiducia al governo Letta per dare un esempio, per rispondere a una protesta inquietante con un forte rischio di deriva sociale. E poi l'Italia ha bisogno di riforme non di nuove elezioni".

Al Piemonte invece farebbero comodo?
"La situazione è molto diversa. In Regione la legislatura è già iniziata male, tra ricorsi e contro-ricorsi, firme e contro-firme, che hanno impedito di amministrare serenamente. E adesso si è aggiunto questo scandalo".

Ha già deciso dove approdare dopo la Lega?
"Ho lasciato il mio partito perché ex colleghi e amici mi hanno attaccato, insultato in ogni modo. Io e la mia famiglia abbiamo ricevuto minacce di morte. Solo Bossi mi ha chiamato e questo mi ha fatto piacere. Per adesso mi sono iscritto al gruppo delle Autonomie locali, dove ci sono parlamentari che cercano di fare quello che la Lega non ha fatto. Spero che ora con Salvini si cambi rotta, che lui tiri fuori giovani con nobiltà d'animo che sappiano superare gli scandali. La tangentopoli leghista è sotto gli occhi di tutti. Per carità, andrà chiarita. Ma è lì. E' un dato di fatto".