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2024/07/16

Lettera aperta al direttore de La Stampa per l’articolo sulle presunte foto lunari false

A proposito dell’articolo de La Stampa del 12 luglio scorso pieno di falsità sulle missioni lunari a firma di Luigi Grassia (ne ho scritto qui), poco fa ho inviato questa mail al direttore (andrea.malaguti@lastampa.it) e a lettere@lastampa.it.

Oggetto: Richiesta di rettifica vostro articolo a firma Luigi Grassia

Buongiorno,

sono un giornalista specializzato in storia delle missioni spaziali. Le segnalo che l'articolo a firma Luigi Grassia intitolato “Polemica: sulla Luna siamo andati o no? Il film “Fly me to the Moon” rilancia i dubbi” contiene numerosi gravi errori fattuali e varie affermazioni offensive nei confronti di chi lavora nell’industria aerospaziale odierna, di cui l’Italia è protagonista.

Grassia dice che “alcune delle foto che la Nasa ha diffuso al tempo delle missioni Apollo sono state riconosciute come false dalla stessa Nasa, che ha dovuto ritirarle”. Non è vero.

Grassia afferma anche che “la Nasa diffuse a suo tempo, fra migliaia di altre, una doppia versione di una foto dell’Apollo 15 sulla Luna.” Anche questo non è vero.

Possiedo i cataloghi originali NASA delle foto di quella missione. Non c'è nessuna “doppia versione”.

Per cui le insinuazioni di Grassia sulla NASA e sulle sue presunte “ammissioni sporadiche di falso” sono un parto della fantasia o dell’incompetenza di qualcuno a cui Grassia ha prestato troppa fiducia.

Oltretutto tutte queste asserzioni di Grassia vengono fatte senza dare un riferimento documentale. Quando sarebbero state fatte queste “ammissioni”? Da chi? Ogni foto della NASA ha un numero di serie che la identifica: perché non indicare quale sarebbe il numero della foto “doppia”?

Trovo davvero spiacevole che si dia spazio, a cinquantacinque anni dall’impresa lunare, a tesi strampalate già smentite abbondantemente da tutti gli storici e dagli addetti ai lavori.

Trovo deprimente che dalle pagine de La Stampa si getti fango sulla comunità aerospaziale di oggi, asserendo che “purtroppo la tecnologia con cui mezzo secolo fa siamo andati sulla Luna è andata perduta e non si riesce a replicarla”. È falso.

La tecnologia spaziale degli anni sessanta non è “andata perduta”, ma è diligentemente archiviata e viene tuttora consultata da chi costruisce veicoli spaziali in tutto il mondo. Ed è falso che “non si riesce a replicarla”, che vuol dire dare degli incapaci agli ingegneri aerospaziali di oggi. Si riesce eccome, ma si vogliono evitare i rischi pazzeschi che furono accettati mezzo secolo fa, e ci sono molti meno soldi, per cui si procede con grande prudenza.

Proprio a Torino, presso Thales Alenia, si progettano e costruiscono i moduli della stazione orbitale lunare per il ritorno di equipaggi sulla Luna.

Che dalle pagine di un quotidiano torinese si offenda chi studia per anni e lavora sodo per ottenere un risultato che pone Torino e l’Italia all'avanguardia nel mondo è davvero sconfortante.

Chiedo che l’articolo venga rettificato, come previsto dalla deontologia dell'Ordine dei Giornalisti e dalla dignità di una testata storica.

Se le servono fonti tecniche e documentali, sono a sua disposizione. Sono stato consulente dell’Apollo Lunar Surface Journal della NASA, di SuperQuark per la puntata dedicata al primo allunaggio, ho scritto un libro dedicato allo sbufalamento delle tesi di complotto (“Luna? Sì, ci siamo andati!”), sono traduttore personale degli astronauti Apollo e sono stato alla NASA due volte a prendere un campione di roccia lunare da portare in Italia per mostre ed eventi pubblici. In altre parole, conosco abbastanza bene la materia sulla quale Grassia pubblica con preoccupante disinvoltura falsità offensive.

Cordiali saluti

Paolo Attivissimo

Giornalista

Lugano, Svizzera

2024/07/14

Luigi Grassia su La Stampa tira fango sugli allunaggi e sull’industria aerospaziale, Italia compresa. Rispondo con i fatti

Mi avete segnalato in tanti l’articolo a firma di Luigi Grassia su La Stampa, intitolato Polemica: sulla Luna siamo andati o no? Il film “Fly me to the Moon” rilancia i dubbi.

https://www.lastampa.it/scienza/2024/07/12/news/luna_allunaggio_complottisti_film-14469791/

(copia su Archive.is)

Grassia lancia una serie di insinuazioni venendo meno a uno degli obblighi fondamentali di qualunque giornalista: documentare le proprie fonti.

Per esempio, afferma che “alcune delle foto che la Nasa ha diffuso al tempo delle missioni Apollo sono state riconosciute come false dalla stessa Nasa, che ha dovuto ritirarle”. In che occasione, quando e dove lo avrebbe riconosciuto? C’è un comunicato stampa, un documento, una dichiarazione di un portavoce? Boh. Non viene detto.

Grassia scrive che “la Nasa diffuse a suo tempo, fra migliaia di altre, una doppia versione di una foto dell’Apollo 15 sulla Luna.” Ma pagando la differenza, per l’amor del cielo, si potrebbe sapere quale sarebbe questa foto? Ogni foto degli allunaggi (ce ne sono circa ventimila) ha un numero di serie: è così difficile citarlo, così magari il lettore può andare a vedersi questa fantomatica “doppia versione”? Macché. Ci dobbiamo fidare ciecamente di quello che afferma Grassia.

L’unico indizio che l’autore dell’articolo ci concede è questa prolissa descrizione (che inficia qualunque scusa del tipo “eh ma il numero di serie della foto non ci stava nell’articolo per esigenze di spazio”):

“Nell’una e nell’altra si vede il comandante nella stessa posizione, vicino al modulo lunare e a una bandiera americana piantata al suolo. L’angolazione dell’inquadratura è la stessa e la posizione relativa dei tre soggetti astronauta-modulo-bandiera è identica. Per essere precisi, in una delle due il comandante Dave Scott ha le gambe appena un po’ più divaricate e nell’altra appena un po’ meno, quindi si tratta di due scatti differenti, ma presi in rapida successione esattamente dallo stesso punto. Infatti le due immagini del modulo lunare e della bandiera sono esattamente sovrapponibili. Eppure, sorpresa, il profilo della collina che fa da sfondo a queste due foto ufficiali è completamente diverso: in una copre tutto l’orizzonte e nell’altra circa la metà.”

La “doppia versione” della foto di Apollo 15

Quali potrebbero essere queste foto misteriose? Ho fatto una ricerca nei miei archivi: ho i cataloghi originali completi delle missioni Apollo, distribuiti su carta dalla NASA all’epoca, che fanno testo più di qualunque fonte online. Secondo questi cataloghi ufficiali, le foto della missione Apollo 15 nelle quali si vede il comandante Scott accanto al modulo lunare e alla bandiera sono cinque in tutto.

Gli astronauti lunari di quella missione, Dave Scott e Jim Irwin (il terzo, Al Worden, rimase in orbita intorno alla Luna nel veicolo principale), scattarono sulla superficie lunare ben 1151 fotografie su pellicola 70mm, in bianco e nero o a colori, usando i caricatori (magazine) etichettati SS (b/n, 171 foto); MM (b/n, 115 foto); LL (b/n, 177 foto); NN (colore, 165 foto); KK (colore, 131 foto); TT (colore, 94); WW (b/n, 164); PP (b/n, 88); OO (b/n, 46).

Facendole passare pazientemente una per una (cosa che Grassia avrebbe potuto evitarmi di fare se solo avesse citato il numero delle foto in questione) risulta che le immagini corrispondenti alla descrizione (astronauta con bandiera e modulo lunare) sono la AS15-88-11863, 11864, 11865, 11866 (caricatore TT) e la AS15-92-12444, 12445, 12446, 12447, 12448, 12449, 12450, 12451 (caricatore OO).

Ma Grassia parla di una foto di Scott, il comandante, e la tuta del comandante è riconoscibile grazie alla banda rossa sul casco, per cui possiamo escludere le foto 11864, 11865, 11866, 12444, 12445, 12446, 12447 (che mostrano Irwin, senza banda rossa sul casco). Restano quindi cinque foto candidate: 11863, 12448, 12449, 12450, 12451.

Eccole qui: vedete per caso in qualcuna di queste foto quel “profilo della collina che fa da sfondo a queste due foto ufficiali” che sarebbe “completamente diverso: in una copre tutto l’orizzonte e nell’altra circa la metà”? O semplicemente Grassia ha scritto una minchiata?

11863.
12448.
12449.
12450.
12451.

Prosegue Grassia: “La Nasa ha riconosciuto che questo è impossibile (e ci mancherebbe altro) pur avendolo fatto senza enfasi, non nell’ambito di un’autocritica generale”. Ma davvero? Dove lo avrebbe fatto? Quando? Si può avere uno straccio di fonte di questa asserita “autocritica”, o dobbiamo ancora una volta fidarci della parola di Grassia, che a quanto risulta non è particolarmente affidabile, vista la fandonia della “doppia versione” che ha appena regalato ai lettori (paganti) de La Stampa?

Le “ammissioni sporadiche”

“Ma non si è trattato di un caso isolato” scrive poi Grassia. A suo dire “ci sono state alcune altre ammissioni sporadiche di falso. Ad esempio, riguardo a un’immagine in cui una serie di riflettori si specchia inopportunamente sulla visiera di un astronauta, oppure un’altra in cui un incongruo cono di luce, tipo faretto, piove dall’alto (partendo da una misteriosa chiazza bianca) a illuminare una presunta superficie lunare.”

Si va di male in peggio: se nel caso precedente Grassia aveva perlomeno indicato la missione alla quale si riferiva, qui non indica neanche questo dato. Per cui per sapere a quali foto si riferisce dovrei farmi passare seimilacinquecento immagini. Ma anche no. Sospetto di sapere a quali foto si riferisce il giornalista, ma mi piacerebbe sapere da lui quali sono di preciso.

E ancora una volta manca completamente qualunque indicazione di dove, come o quando sarebbero state fatte queste “ammissioni”.

L’“autenticazione” della NASA

Grassia insiste: “La Nasa per ragioni sue ha autenticato alcune di queste foto, per sua ammissione successiva false, provenienti da studi fotografici allestiti sulla Terra, salvo fare marcia indietro alcuni anni dopo.”

Quali avrebbe autenticato? Dove? E dove sarebbe stata pubblicata questa “ammissione successiva”? In che anno, in che modo, da parte di chi sarebbe avvenuta questa ipotetica “marcia indietro”?

La NASA “confusa”

“Tra le foto fasulle scattate in questi studi (o ritoccate) e quelle vere fatte sulla Luna era difficile o impossibile scegliere: apparivano indistinguibili, quanto a verosimiglianza, agli occhi della stessa Nasa, che infatti si è confusa.”

Anche qui, nessuna indicazione di dove si sarebbe “confusa”. E affermare che le foto “fasulle” (che non abbiamo ancora capito quali siano) sarebbero “indistinguibili” è una fesseria tecnica assoluta. 

Primo, le condizioni di illuminazione della superficie lunare sono estremamente particolari e difficilissime da replicare sulla Terra: assenza totale di offuscamento atmosferico, per cui tutto è nitidissimo fino all’orizzonte; una singola fonte primaria di luce (il Sole), in un cielo che per il resto è nero (a parte il bagliore della Terra e quello trascurabile delle stelle). Per cui distinguere una foto fatta sulla superficie lunare reale da una foto fatta in studio è piuttosto facile per una persona competente.

Secondo, sappiamo benissimo quali sono le foto reali. Le pellicole originali sono ancora conservate e consultabili. Subito dopo le missioni, furono fatte copie per contatto dei rullini integrali (si trovano in vendita a prezzi da collezionisti). Da anni i rullini integrali sono stati scansionati e messi online. Basta guardarli per sapere se una foto è autentica oppure no.

Ma si badi bene, dice Grassia, che le sue asserzioni “sono punti fermi, non illazioni.” No, signor Grassia, sono minchiate. Mi scusi la schiettezza, ma non c’è altro termine che le definisca adeguatamente. Lei dice che la NASA si è “confusa”, ma a me viene il dubbio che la confusione stia altrove, non a Houston.

Ancora la tuta troppo luminosa e i riflessi nella visiera, che noia

Le sciocchezze complottiste presentate da Grassia proseguono con due classici intramontabili:

  • il presunto mistero di come mai la tuta di un astronauta (Aldrin, Apollo 11) sarebbe troppo illuminata e sarebbe stata “ritoccata per schiarire l’immagine dell’uomo e farla risaltare in modo che il tutto non risultasse buio” (falso, la tuta era altamente riflettente ed era illuminata dalla tuta altrettanto riflettente del fotografo, Neil Armstrong, che infatti rischiara tutto il lato in ombra del modulo lunare, come ho spiegato nel mio libro gratuito online Luna? Sì, ci siamo andati!);
  • e l’altrettanto presunto mistero del punto di inquadratura asseritamente troppo elevato in una foto della missione Apollo 12 che mostra gli astronauti riflessi nelle rispettive visiere riflettenti: chi se la sente di spiegare a Grassia come funziona uno specchio curvo?

Scusate se non mi dilungo a spiegare di nuovo tutti questi “misteri”; l’ho già fatto troppe volte e mi fa davvero tristezza vedere così tanta ignoranza dei concetti di base della fisica e di come funziona il mondo che ci circonda. Di questo passo, dovrei mettermi a spiegare che la Terra non è piatta e che le mucche lontane sembrano piccole perché sono lontane, non perché sono mucche nane (Father Ted).

La minchiata finale è un insulto a tutta l’industria aerospaziale, anche italiana

Va be', magari pensate che io me la prenda troppo. Chissenefrega se sulla Luna ci siamo andati o no 55 anni fa, ci sono problemi più attuali e importanti, direte voi. La gente sulla quale i complottisti e i disinformati come Grassia tirano disinvoltamente fango, dall’alto della loro incompetenza arrogante, è quasi tutta morta. Dei dodici uomini che hanno camminato sulla Luna ne restano in vita solo quattro (Scott, Duke, Schmitt, Aldrin). Tanti dei protagonisti di quell’epoca ci hanno lasciato. Per cui non avete tutti i torti.

Ma quello che mi rode è soprattutto lo schiaffo, l’insulto a tutti coloro che oggi lavorano nell’industria aerospaziale, comprese le tante aziende italiane, come Thales Alenia, che stanno lavorando adesso alla costruzione di una stazione orbitale lunare e a veicoli per tornare sulla Luna con equipaggi. Gente che secondo Grassia è invece inetta e incapace, a giudicare da questa sua frase: “purtroppo la tecnologia con cui mezzo secolo fa siamo andati sulla Luna è andata perduta e non si riesce a replicarla”.

No, caro collega. Prima di tutto, la tecnologia spaziale degli anni sessanta non è “andata perduta”, ma è diligentemente archiviata e viene tuttora consultata da chi costruisce veicoli spaziali in tutto il mondo. Ed è falso che “non si riesce a replicarla”, che vuol dire dare dei coglioni incapaci agli ingegneri aerospaziali di oggi. Si riesce eccome, ma si vogliono evitare i rischi pazzeschi che furono accettati mezzo secolo fa, e ci sono molti meno soldi, per cui si procede con grande prudenza. La capsula Orion che riporterà gli equipaggi umani verso la Luna ha già volato. Il progetto Artemis procede; solennemente, ma procede. Elon Musk lancia razzi supergiganti destinati alla Luna. Ma mi sa che Grassia non se n’è accorto, preso com’era a guardare i profili delle colline.

2023/10/25

Repubblica annuncia che “i pannelli solari nello spazio funzionano”

Pubblicazione iniziale: 2023/10/25 16:11. Ultimo aggiornamento: 2023/10/26 10:47.

Meno male che c'è Repubblica che ci informa che “i pannelli solari nello spazio funzionano” (copia permanente). Finalmente sulla Stazione Spaziale Internazionale smetteranno di usare i generatori diesel?

Per chi non conoscesse la materia: sappiamo che i pannelli solari funzionano nello spazio da almeno sessant’anni. Li usavano già i primi satelliti, come per esempio Vanguard 1 (1958). La Stazione ha da oltre vent’anni degli enormi pannelli solari che la alimentano completamente.

Questa cretinata di Repubblica è scritta, fra l’altro, come titolo di un articolo a pagamento. Scusate, editori di Repubblica, ma perché dovrei pagare per leggere delle cretinate del genere? Magari poi salta fuori che Elena Dusi ha scritto un bell’articolo, tecnicamente competente, che spiega la vera notizia. Ma quel titolo da inetti rovina tutto. Siete sicuri che lavorare coi piedi così sia un buon investimento? O state solo temporeggiando in attesa di licenziare tutti e affidarvi a ChatGPT? 

Per chi volesse la vera notizia: i ricercatori dell’Università di Swansea hanno sviluppato delle celle fotovoltaiche a base di tellururo di cadmio che coprono una superficie maggiore, pesano meno e generano molta più energia rispetto alle tecnologie attuali paragonabili e sono relativamente economiche da fabbricare. I ricercatori dell’Università del Surrey hanno progettato degli strumenti che hanno misurato il rendimento di queste celle nello spazio, dove sono state lanciate sei anni fa, dimostrando di essere resistenti alle radiazioni e agli altri effetti dell’ambiente spaziale. Questi miglioramenti prestazionali potrebbero consentire la realizzazione di grandi centrali fotovoltaiche nello spazio a basso costo, che ritrasmetterebbero verso la Terra l’energia raccolta.

La ritrasmissione avverrebbe usando fasci di microonde accuratamente puntati verso stazioni riceventi al suolo. Questa soluzione avrebbe notevoli vantaggi rispetto agli impianti fotovoltaici sulla Terra: scegliendo orbite opportune, la centrale orbitante può ricevere la luce solare ininterrottamente, senza le pause dovute al ciclo giorno/notte, senza le variazioni stagionali e senza le attenuazioni dell’atmosfera e delle condizioni meteorologiche, col risultato che la luce solare orbitale è in media oltre dieci volte più intensa di quella al suolo. Inoltre l’energia potrebbe essere recapitata direttamente a destinazione, senza elettrodotti, anche in mezzo al deserto o in zone colpite da calamità, come spiega questa pagina dell’ESA.

Il comunicato stampa originale è qui e l’articolo scientifico è qui (grazie a @nabbo su Mastodon per questi link; link alternativo).

2023/10/18

Secondo Repubblica, “shrapnel” è il nome di un proiettile. Difficile fidarsi di chi scrive come un incompetente

Pubblicazione iniziale: 2023/10/18 12:21. Ultimo aggiornamento: 2023/10/19 21:30.

“Loro dicono che il proiettile Shrapnel (esploso) è come il nostro e non è come quelli Israeliani”. Scrive così Repubblica oggi (copia permanente), trattando un argomento serissimo come la distruzione di un ospedale pieno di persone nella guerra Hamas-Israele. Ma nella frase originale “tradotta” da Repubblica la parola Shrapnel non è un nome proprio e non indica un tipo di proiettile.

Il termine “shrapnel” indica semplicemente le schegge prodotte dalla frammentazione di qualunque ordigno esplosivo. Il senso corretto della frase “They are saying that the shrapnel from the missile is local shrapnel and not like Israeli shrapnel” è “Stanno dicendo che le schegge del proiettile [o razzo] sono schegge di tipo locale e non simile alle schegge israeliane”.

Non è chiaro, inoltre, se quell’“esploso” tra parentesi voglia essere una traduzione (sbagliata) di Shrapnel o una precisazione per spiegare che la conversazione riguarda l’ordigno che ha colpito l’ospedale.

Chiunque abbia tradotto quel dialogo dall’inglese all’italiano è un incompetente, che qualcuno in redazione ha però piazzato a scrivere la cronaca di una delle notizie più importanti del momento.

Questo è il modo in cui si lavora nelle redazioni dei giornali in Italia. Questo è il motivo per cui leggere le testate generaliste è una totale perdita di tempo. Questi sono i giornali che dovrebbero difenderci dalle fake news e invece sembrano impegnatissimi a fabbricarle. Che pena.

2023/07/27

(AGG 2023/08/18) Antibufala: nave in fiamme con 3000 auto a bordo, la Guardia Costiera non ha detto che è colpa di un’auto elettrica. E le elettriche sono tutte intatte, incendio scoppiato altrove

Ultimo aggiornamento: 2023/08/18 16:20.

Il Corriere della Sera, in un articolo firmato da Maurizio Bertera, titola “Nave in fiamme con 3 mila auto a bordo: un morto. L’incendio forse è partito da un’elettrica”, con il sottotitolo “La Guardia Costiera olandese ritiene probabile che l’enorme rogo sia partito da una delle 25 vetture elettriche a bordo” (link intenzionalmente alterato; copia permanente). È falso.

Nel corpo dell’articolo, Bertera scrive che “Un portavoce della Guardia Costiera ha rivelato all’agenzia di stampa Reuters che l’origine del fuoco può essere ricondotta a un’auto elettrica a bordo della nave”. È falso anche questo.

Non c’è nessuna conferma che l’incendio sia partito da un’auto elettrica e la Guardia Costiera olandese non ha affatto rilasciato la dichiarazione riportata dal Corriere. Il liveblog della Guardia Costiera olandese dice esplicitamente che “la causa dell’incendio non è ancora nota” (“De oorzaak van de brand is nog onbekend”). Inoltre il sito Electrek ha chiamato la Guardia Costiera olandese, che ha dichiarato di non aver affatto attribuito l’incendio a un’auto elettrica.

Reuters, citata dal Corriere, conferma che la causa dell’incendio è ancora ignota e aggiunge che “un portavoce della Guardia Costiera aveva detto a Reuters che l’incendio era iniziato vicino a un’auto elettrica” (“The coastguard said on its website the cause of the fire was unknown, but a coastguard spokesperson had earlier told Reuters it began near an electric car”).

Da nessuna parte viene detto quello che scrive il Corriere, ossia che l’origine del fuoco possa essere ricondotta a un’auto elettrica.

La nave in questione, la Fremantle Highway, ha preso fuoco nel Mare del Nord. Trasporta 2832 auto a carburante e 25 auto elettriche dalla Germania all’Egitto. Una persona dell’equipaggio è morta.

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2023/08/02 17:40. Un articolo di NOS news, segnalato nei commenti qui sotto da CheshireCat, precisa che le auto elettriche o ibride a bordo sono 498, non 25, su un totale di 3783 veicoli, non 2832 come annunciato inizialmente.

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2023/08/18: 16:20. CleanTechnica segnala che le auto elettriche sono tutte intatte e l’incendio è partito da un altro punto della nave. Il direttore delle operazioni di recupero, Peter Berdowski, ha dichiarato alla stampa olandese che le 498 auto elettriche a bordo sono tutte intatte e che l’incendio è probabilmente iniziato sull’ottavo ponte dei dodici. Le auto elettriche erano situate molto più in basso. 

Sono curioso di vedere quanti dei giornali, dei siti e degli hater che hanno diffuso con entusiasmo la notizia della presunta colpa delle auto elettriche pubblicheranno con altrettanta evidenza la smentita della balla che hanno disseminato.

2023/06/28

RaiNews, Quotidiano Nazionale e le banconote da 8600 euro

Rainews scrive che vicino al rifugio del leader del gruppo Wagner, Prigozhin, sono state trovate “[c]inquemila banconote per un valore di circa quattro miliardi di rubli, l'equivalente di circa 44 milioni di euro”.

https://www.rainews.it/articoli/2023/06/il-tesoro-di-prigozhin-ritrovati-nel-suo-rifugio-44-milioni-di-euro-e-lingotti-doro-5fb528b8-7ea7-4962-8419-dced3f8ffef8.html (copia permanente: https://archive.is/LRJE3)

Quotidiano Nazionale, a firma di Alessandro Farruggia, anche su carta, ribadisce il concetto: “trovate cinquemila banconote per un valore di circa quattro miliardi di rubli, l’equivalente di 43 milioni di euro.”

https://www.quotidiano.net/cronaca/cronaca-di-un-golpe-annunciato-la-cia-informata-putin-anche-e-prigozhin-ora-e-sparito-7bfeac00 (copia permanente: https://archive.is/i6qdC)

Nessuno, in redazione, che faccia due conti e si chieda come cinquemila banconote possano ammontare a 43 milioni di euro.

Se questo è giornalismo, allora datemi ChatGPT, e di corsa.

2023/06/24

(AGG 18:25) La giostra delle figuracce prosegue: Il Corriere scrive “catastrofica perdita di pressione”; La Stampa, Fatto Quotidiano e Panorama scrivono ancora “velivolo”; lo aveva fatto anche ANSA

Il giornalismo di lingua italiana continua, purtroppo, a dare ampie prove di inettitudine e pura ignoranza a proposito del disastro del batiscafo Titan.

Viviana Mazza, sul Corriere della Sera, parla di “catastrofica perdita di pressione” nel titolo e di “catastrofica perdita della camera di pressione”, attribuendo queste parole al “contrammiraglio John Mauger”. Entrambe le frasi sono grossolanamente sbagliate.

https://www.corriere.it/cronache/23_giugno_23/titan-detriti-morti-sottomarino-d204f93e-113b-11ee-a86b-4e8204e35ce8.shtml (copia permanente)

Nel Titan non c'è stata nessuna “perdita di pressione”. La pressione si può perdere (verso l’esterno) quando dentro il veicolo c'è una pressione maggiore che all'esterno. In un veicolo che porta persone sott'acqua si ha l'esatto contrario: quando è sotto la superficie, la pressione esterna è maggiore di quella interna. Quindi non si perde pressione verso l’esterno: lo scafo deve resistere alla pressione esterna, che è molto superiore a quella interna. Se c’è una falla, l’aria non può sfuggire. È la pressione esterna, quindi l’acqua, a irrompere nell’abitacolo, e in quell’abitacolo la pressione non si perde, ma aumenta di colpo, con conseguenze fatali per gli occupanti.

Inoltre il contrammiraglio non ha affatto parlato di “catastrofica perdita della camera di pressione”. Questa è la sua dichiarazione originale:

Mauger parla di “catastrophic loss of the pressure chamber”. Ma “loss” qui non è “perdita”, è “cedimento”. “Perdita”, in questo contesto, sarebbe “leak”. Mauger non sta dicendo che hanno smarrito la camera di pressione; sta dicendo che la camera di pressione (ossia lo spazio interno allo scafo nel quale viene mantenuta la pressione atmosferica) ha ceduto.

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Intanto La Stampa, Panorama e il Fatto Quotidiano si aggiungono all’inquietante coro delle redazioni inette, che a quanto pare sono piene di gente che non sa cosa voglia dire velivolo. Gente alla quale andrebbe data una canna da pesca insieme a un’interdizione permanente da ogni forma di giornalismo.

https://www.lastampa.it/esteri/2023/06/23/news/titan_catastrofica_implosione_cosa_sappiamo-12872921/ (copia permanente)

A distanza di oltre un giorno, l’erroraccio è ancora lì.

Su Panorama, un articolo a firma di Andrea Soglio parla per l’ennesima volta di “velivolo”:

https://www.panorama.it/news/sommergibile-scomparso-i-soccorritori-sentono-colpi-del-fondo-del-mare (copia permanente)

Anche qui, l’errore persiste e non viene corretto.

Il Fatto Quotidiano scrive la stessa fesseria: “A queste condizioni qualsiasi piccola perdita potrebbe causare un’implosione immediata, in grado di distruggere il velivolo”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/06/23/limplosione-improvvisa-alla-velocita-di-800-chilometri-orari-cosi-sono-morti-i-5-a-bordo-del-titan-il-cervello-umano-non-si-e-neanche-reso-conto/ (copia permanente)

Il dilagare dell’errore madornale di usare “velivolo” per un veicolo che va sott’acqua è forse partito dal lancio ANSA del 20 giugno, che oggi risulta riscritto e corretto ma che in origine (copia su Archive.org) parlava proprio di “velivolo” (“...nell’area di ricerca in cui il velivolo era scomparso due giorni prima”). Sembra che tutti abbiano copiato ciecamente da ANSA senza farsi la benché minima domanda sul senso di quello che stavano copiando.

Screenshot del lancio ANSA com’era il 21 giugno 2023 (Archive.org).

2023/06/23

(AGG 2023/06/24) Per Open, “sommergibile” e “dirigibile” sono la stessa cosa. Per il Corriere del Ticino e L’Adige, si è inabissato un “velivolo”

Massì, sommergibile, dirigibile, fa lo stesso.

https://www.open.online/2023/06/22/sommergibile-titan-ricerche-cofondatore-oceangate-accuse-harding/



Invece il Corriere del Ticino parla di “velivolo”.

https://www.cdt.ch/news/mondo/stop-alle-escursioni-turistiche-al-titanic-lappello-del-fisico-che-sfioro-la-morte-320736

Anche L’Adige ci educa spiegando che si tratta di un “velivolo”.

https://www.ladige.it/attualita/2023/06/21/sottomarino-disperso-captato-dai-sonar-un-rumore-di-colpi-1.3527728 (copia permanente)

Però mi raccomando, il giornalismo è in pericolo per colpa di ChatGPT e dei social.

Grazie a tutti per le segnalazioni.

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2026/06/24. Il Corriere del Ticino si è scusato pubblicamente e ha corretto.

Open ha corretto. L’Adige no.

2023/06/20

Giornalismo a neurone spento: Repubblica e TGCom24 ci regalano radar subacquei e tiro di confetti

Diciamolo: ChatGPT queste scemenze non le avrebbe scritte.


“Un sottomarino utilizzato per portare gruppi di turisti in visita al relitto del Titanic è scomparso dai radar [...] Il sommergibile uscito dai radar [...]” Fonte: TgCom24. Copia permanente.


“Quando nel novembre di due anni fa venne eletto Amer Ghalib, primo sindaco musulmano di origine yemenita negli Stati Uniti, i Democratici scesero per strada e lanciarono confetti al suo passaggio”. Fonte: Licia Corbolante. Copia permanente.

2023/05/31

Con Chiara Ferragni, Il Giorno confonde sonno e mutandine; intanto il Corriere non sa come si scrive “Elon Musk”

Il Giorno e il Corriere ci mandano un segnale di ottimismo: oggi chiunque in Italia può scrivere su un giornale. Competenze linguistiche? Non servono. Rilettura? Un’ossessione da boomer; roba vecchia.

E così su Il Giorno Giambattista Anastasia e Sofia Rodigari ci deliziano con il racconto della polemica per una fotografia di Chiara Ferragni in sleep (si vede che deve risparmiare energia) e il Corriere (cartaceo, si noti) ci educa dicendoci che “I nuovi Mask o Zuckerberg” è “difficili trovarli in aula”. Perché fare un solo errore da matita blu in un titolo oggi è banale.

Da Il Giorno del 30 maggio 2023 (copia permanente). Grazie a @paoblog per la segnalazione.
Da 'L'Economia del Corriere della Sera', 22 maggio 2023. Stampato, non online. Grazie a Simone (mio figlio) per la segnalazione.

Se il giornalismo va avanti con scelte come queste, ChatGPT lo sostituirà alla grande. Meritatamente. E la colpa sarà solo di chi si è scavato da solo la fossa.

2023/04/11

Il Corriere scrive stupidaggini spaziali. E se sostituissimo i titolisti inetti con ChatGPT?

Uno dei primi lavori umani eliminati dall’intelligenza artificiale di ChatGPT e simili potrebbe essere la creazione di titoli e sottotitoli di articoli di giornali. Faccio un esempio pratico.

Un lettore su Mastodon mi segnala che il Corriere della Sera ha scritto l’8 aprile scorso un articolo più che dignitoso sulle nuove immagini di Urano acquisite dal telescopio spaziale Webb, ma lo ha agghindato con un sottotitolo che dice una scemenza spaziale, ossia che il telescopio Webb (che sta nello spazio) ha "ottiche... capaci dunque di compensare la distorsione creata dall’atmosfera terrestre".

Evidentemente chi si occupa dei titoli degli articoli non si è chiesto nemmeno lontanamente perché un telescopio situato nello spazio avesse bisogno di ottiche che compensassero problemi atmosferici.

In realtà l’articolo cita dapprima le foto nuove del telescopio spaziale Webb e poi parla delle immagini di Urano scattate tempo addietro da un telescopio terrestre, che è quello con le ottiche adattative. Il “titolista” (uso le virgolette perché alcuni colleghi negano che esista) ha fatto un disinvolto minestrone dei due concetti, e il risultato è un titolo che dice “Urano e i suoi anelli come non l'avete mai visto: la nuova foto del telescopio James Webb” e un sottotitolo che recita “L'immagine che racconta la ricchezza dell'atmosfera del settimo pianeta del Sistema Solare è stata scattata con ottiche adattive agli infrarossi, capaci dunque di compensare la distorsione creata dall’atmosfera terrestre”.

Ho segnalato la cosa al Corriere. Al momento in cui pubblico questo articolo il sottotitolo è ancora com’era. Copia permanente: https://archive.is/LdAen.

Forse sarebbe il caso di assumere “titolisti” meno inetti, ma questa è una proposta che giace inascoltata da tempo. Assumere gente che lavori bene costa, mandare a casa quella che lavora male pure, e quindi il giornalismo finisce per diventare inattendibile. L’articolista magari si sforza pure di scrivere le cose giuste, come in questo caso, ma la sua fatica viene stroncata dal pasticcione che gli imbratta il lavoro.

Allora faccio un’altra proposta: e se facessimo scrivere titoli e sottotitoli a ChatGPT, che costa meno? Magari le parole “costa meno” hanno più effetto su editore di parole come “qualità”.

Ci ho provato, usando il mio account OpenAI a pagamento (20 dollari/mese), che mi permette di usare la versione 4 di ChatGPT, e gli ho chiesto: “Crea un titolo di al massimo 90 caratteri e un sottotitolo di al massimo 220 caratteri per questo testo:”, dandogli in pasto il testo del Corriere. Ho scelto questi limiti di lunghezza basandomi sulla lunghezza del titolo e del sottotitolo originali.

ChatGPT mi ha scritto questo in una manciata di secondi:

Titolo: Il telescopio James Webb rivela gli anelli di Urano con dettagli senza precedenti

Sottotitolo: In una straordinaria foto a infrarossi, il gigante ghiacciato mostra la sua atmosfera perlacea e gli anelli polverosi, mentre gli scienziati anticipano ulteriori scoperte grazie alle capacità del potente telescopio spaziale.

Screenshot per i dubbiosi:

Allora, Corriere, cosa aspettate a licenziare i titolisti e rimpiazzarli con ChatGPT? Ovviamente, come io e altri abbiamo scritto tante volte, c’è il rischio che ogni tanto ChatGPT scriva delle cretinate. Ma se ne scrive meno dei titolisti umani, e costa meno di loro, come la mettiamo?

2023/02/13

Per Repubblica, gli oggetti volanti in atmosfera sono in orbita

Repubblica insiste a chiedere soldi in cambio di parole in libertà. Oggi Gianluca Modolo ci insegna che gli oggetti abbattuti nei cieli statunitensi e canadesi erano in orbita.

Contenuto "riservato agli abbonati premium", mi raccomando. Qui non c’è neanche la scusa flaccida del “contenuto gratuito quindi cosa pretendi”: qui gli utenti pagano. E Repubblica ricambia così.




2023/02/07

ANSA e l'astronomia; Repubblica e il rispetto per la morte

Siamo nel 2023 e ANSA fa lavorare gente che crede che la Luna abbia una faccia perennemente al buio.


Intanto Repubblica fa tweet come questo (poi rimosso) e l’URL originale della notizia ribadisce il concetto: https://video.repubblica.it/edizione/milano/lecco-cadavere-di-una-donna-trovato-morto-in-auto-sulal-riva-del-lago-i-rilievi-della-polizia/437585/438551



2023/01/17

Rainews fa fake news: pubblica un video del 2021 spacciandolo per immagini dello schianto aereo in Nepal del 15 gennaio

Rainews ha pubblicato un articolo (copia permanente) incentrato su quello che presenta come “nuovo video del disastro”, riferendosi alla caduta di un aereo ATR-72 avvenuta in Nepal il 15 gennaio scorso.


Ma il video si riferisce a un incidente aereo avvenuto nel 2021 a Mosca:


Il controllo delle fonti sta a zero. La pornografia del dolore, invece, va a mille. Non è questo il giornalismo di cui abbiamo bisogno per difenderci dalla disinformazione.

Ringrazio Daniele per la segnalazione.

 

23:05. L’articolo è stato rimosso qualche ora fa. Ho ricevuto una telefonata di scuse e contrizione da parte di un redattore. Apprezzo il gesto: però apprezzerei ancora di più se si facesse qualcosa per evitare in partenza errori di metodo di questo genere.


Fonte aggiuntiva: AVHerald.

2022/12/13

Fusione nucleare, le minchiate incredibili scritte da Repubblica, Corriere, ANSA e La Stampa. Non c’è altro modo sincero di definirle

Pubblicazione iniziale: 2022/12/13 21:57. Ultimo aggiornamento: 2022/12/14 18:30.

A proposito dell’annuncio odierno del raggiungimento di una tappa importante verso uno sfruttamento pratico della fusione nucleare, Repubblica, il Corriere, ANSA e La Stampa hanno pensato bene di informare i loro lettori deliziandoli con quella che posso solo definire come una compilation di minchiate. Non è volgarità: è una descrizione meramente tecnica dei fatti. 

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Jaime D’Alessandro scrive su Repubblica (link intenzionalmente alterato; copia permanente) che

"192 laser hanno riscaldato a oltre cento milioni di gradi un nucleo, che ha richiesto mesi per essere costruito, ad una velocità superiore a quella della luce..."

Lo fa, oltretutto, in un virgolettato, che attribuisce a un fisico del Lawrence Livermore National Laboratory, Marvin Adams, che fra le altre cose è vicedirettore per i programmi della Difesa degli Stati Uniti. Qui non si può parlare di refuso, bufala, svista o baggianata. Detta come va detta: è una minchiata, e di dimensioni irresponsabilmente apocalittiche perché messa in bocca come virgolettato a un fisico autorevolissimo, che quindi il lettore ha il diritto di presumere che parli con competenza. È una minchiata che fa inorridire chiunque abbia una conoscenza scientifica di base.  

Screenshot per gli increduli:

Marvin Adams non ha detto nulla di nemmeno vagamente assimilabile a quella cretinata sulla “velocità superiore a quella della luce” durante la conferenza stampa di presentazione del risultato scientifico, che potete vedere qui sotto. Adams parla da 11:44 a 15:30.

Ho chiesto a D’Alessandro quale sia la sua fonte e quale sia il testo originale e sto aspettando una sua risposta. Ringrazio @andbrusa che mi ha segnalato l’articolo di Repubblica.

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Ma questa non è l’unica minchiata incredibile scritta dai giornali su questa notizia scientifica. C’è anche quest’altra (link intenzionalmente alterato; copia permanente), segnalata da Beatrice Mautino (@divagatrice) e attribuita da Federico Rampini a Claudio Descalzi, “chief executive dell’Eni”. Tenetevi forte:

La fusione «è il contrario della fissione», sottolinea, ricordando che questa nuova tecnologia «non genera radioattività, non produce scorie». Ha costi bassi, usa come materia prima l’acqua «pesante», cioè non distillata: anche quella di mare. E la consuma in piccole quantità, «da una bottiglia può generare 250 megawatt in un anno». 

Il Corriere ci spiega che l’acqua pesante è acqua non distillata. Sapevatelo. Intere generazioni di studenti di fisica vengono travolte dal gastrospasmo. Probabilmente a loro non resterà la forza di notare l’ulteriore minchiata, che normalmente spiccherebbe ma di fronte a quella sull’acqua pesante sbiadisce totalmente come un peto in un uragano: i megawatt al posto dei megawattora.

Rituale screenshot per i minchiatascettici:

Fra l’altro, per il suo articolo Rampini ricicla pari pari un intero blocco di testo tratto dal suo libro Il lungo inverno. A sinistra il testo intero dell’articolo di Rampini per il Corriere; a destra quello del libro dello stesso Rampini:


In sostanza, Federico Rampini ha dato al Corriere una pagina del suo libro riconfezionandola come articolo. È la nuova frontiera dell’ottimizzazione del giornalismo: Ctrl-C, Ctrl-V, ecco fatto.

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Su La Stampa, invece, un articolo non firmato (link intenzionalmente modificato; copia permanente) ci spiega il vero risultato straordinario dei fisici statunitensi: secondo il giornale, sono riusciti a far stare una mezza palla da basket dentro una capsulina che sta in un cilindro grande come quello mostrato dal fisico Marvin Adams durante la conferenza stampa. Questa:

La Stampa scrive infatti: “192 laser giganti della National Ignition Facility del laboratorio californiano hanno bombardato un piccolo cilindro delle dimensioni di metà di una palla da basket, contenente un nocciolo di idrogeno congelato.” E ancora: “Marv Adams, vice amministratore per i programmi di difesa della 'National Nuclear Security Administration', ha fornito una descrizione dell'esperimento che ha segnato la svolta sulla fusione nucleare. Tenendo in mano un cilindro, il dirigente ha spiegato che dentro c'era una piccola capsula sferica con un diametro pari a metà di quello di una palla da basket.

Ennesimo screenshot per gli increduli:

La stessa assurdità è stata scritta da ANSA (link intenzionalmente alterato; copia permanente), che arriva a contraddirsi da sola:

[...] i laser sono stati puntati su un contenitore cilindrico forato e lungo alcuni millimetri, dice all'ANSA Fabrizio Consoli, responsabile del laser per la fusione Abc dell'Enea. Il minuscolo cilindro racchiude a sua volta una capsula sferica dal diametro di tre o quattro millimetro [sic] [...] Tenendo in mano un cilindro, il dirigente ha spiegato che dentro c'era una piccola capsula sferica con un diametro pari a meta' di quello di una palla da basket.

Screenshot per gli ormai rassegnati:

Come è possibile scrivere una minchiata del genere quando le dimensioni del cilindro sono lì da vedere e dimostrano che è palesemente impossibile che ci stia dentro mezza palla da basket? Semplice: basta non pensare. E basta non rendersi conto che Marv Adams ha detto “half the diameter of a BB”. Non ha detto “basketball”. “BB” è il pallino di una pistola a pallini (BB gun); l’acronimo deriva da una specifica taglia di pallini, chiamata appunto BB, che misura circa mezzo centimetro, ma in inglese il termine “BB” indica genericamente un pallino che abbia grosso modo queste dimensioni.

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Questi sono i giornali, e i giornalisti, che hanno la pretesa che noi li paghiamo affinché loro ci informino su cosa succede nel mondo. E la giostra delle minchiate si ripete, puntuale, a ogni notizia anche solo vagamente legata alla scienza. L’idea di far scrivere gli articoli a qualcuno che sappia cosa sta dicendo, a quanto pare, è troppo rivoluzionaria. Questo non è un errore momentaneo: è una prassi redazionale.

2022/11/02

Il Messaggero pubblica un tweet di un finto Zuckerberg spacciandolo per vero

Questo articolo è disponibile anche in versione podcast audio.

Il Messaggero ha pubblicato oggi (2 novembre 2022) a firma di Francesca Pierantozzi una “polemica a colpi di tweet” fra Stephen King, Elon Musk e Mark Zuckerberg a proposito dell’ipotesi di far pagare un canone mensile per il bollino blu di autenticazione su Twitter.

Il siparietto è surreale e divertente: secondo la traduzione del Messaggero, il celeberrimo autore horror Stephen King avrebbe scritto “Venti dollari al mese per le mie spunte blu? Che si fott... Mi dovrebbero pagare. Se fanno una cosa simile, vado via come Enron”.

Enron, per chi non se lo ricordasse, non è un personaggio del Signore degli Anelli ma era una multinazionale statunitense del settore energetico, fallita clamorosamente e di colpo nel 2001 in seguito a un enorme scandalo contabile (Britannica; Wikipedia).

Elon Musk avrebbe risposto così a Stephen King: “Dobbiamo in qualche modo pagare le bollette! Twitter non può fare interamente affidamento sulla pubblicità. Che ne dici di 8 dollari?”.

Sempre secondo l’infografica del giornale, il battibecco sarebbe proseguito con l’intervento di Mark Zuckerberg, che avrebbe messo a segno una battuta tagliente: “Ciao Elon, Facebook è gratuito”.

Ma solo i primi due tweet sono autentici. Quello di King è qui (“$20 a month to keep my blue check? Fuck that, they should pay me. If that gets instituted, I’m gone like Enron.”) e quello di Musk è qui (“We need to pay the bills somehow! Twitter cannot rely entirely on advertisers. How about $8?”).

Il terzo, invece, è stato scritto da un account di un utente comune, privo di bollino, che il giornale ha disinvoltamente pubblicato spacciandolo per una vera risposta del CEO di Meta.

L’utente comune scambiato per Zuckerberg è @di_reddito, che ha semplicemente impostato il proprio account in modo che il suo nickname, ossia il nome in grassetto, sia Mark Zuckerberg e ha usato una foto di Zuckerberg come immagine del proprio profilo, ma ha il vero nome account, cioè @di_reddito, ben visibile e non ha appunto il bollino blu di autenticazione.

Inoltre nella bio dell’utente è scritto chiaramente che si tratta di un account parodia: “Non sono Mark Zuckerberg. Sono il Ceo-Gestore del @posillipostore e Sindaco del @Comune_Fanculo.”

Ma tutti questi avvisi sono stati ignorati: come capita spesso, chi fa giornalismo si è fatto sedurre dalla fretta e dalla notizia ghiotta, non ha controllato e ha mandato in stampa.

La pagina del Messaggero (fonte: @di_reddito):

Ironicamente, lo scivolone avviene proprio in un articolo nel quale si parla del bollino blu di autenticazione. L’errore del giornale non è il primo del suo genere, ed è probabilmente la migliore dimostrazione della tesi che l’autenticazione che Elon Musk vorrebbe far pagare ai propri utenti viene ignorata molto facilmente, specialmente quando si vuole credere che un tweet sia autentico, e quindi forse quel bollino vale meno di quello che molti pensano.

Fonte aggiuntiva: Giornalettismo.

2022/11/01

Secondo Repubblica, Giuliano è oggi un “manager in rovina che vive in un’auto” a Roma. Nel 2020 Fanpage, Giorno e TgCom24 lo collocavano a Milano e in salvo

Ultimo aggiornamento: 2022/11/03 21:30.

Ieri (31 ottobre 2022) Repubblica ha pubblicato la triste storia di Giuliano, “il manager in rovina che vive in un'auto”

L’articolo (non firmato) è dietro paywall, quindi è pensato come contenuto per il quale il lettore paga; in teoria questo dovrebbe presupporre qualità. Repubblica ha descritto la vicenda come “Una delle storie di ordinaria emarginazione romana”, perlomeno stando alla copia (stranamente non paywallata) che sta su Infosannio.com.

Questo screenshot mandatomi da un lettore, Francesco F., conferma che Repubblica ha scritto che la vicenda si svolge a Roma (con tanto di citazione di Piazza Navona nel titolo) e ha parlato di “storia di emarginazione romana”.

Ma questa stessa storia, che secondo Repubblica è attuale e si svolge a Roma, compariva già nel 2020 su Fanpage.it in un articolo a firma di Ilaria Quattrone, ambientata però a Milano (l’articolo dice testualmente che Giuliano “vive in macchina per le strade di Milano” e cita Milano nel titolo).

L’articolo attuale di Repubblica e quello di Fanpage di due anni fa sono illustrati con la medesima foto.

Anche TGCom24, nel 2020, citava la stessa storia collocandola a Milano. Idem il Giorno nel 2021, precisando che Giuliano è stato accolto “negli appartamenti messi a disposizione da Fondazione Arca a Cascina Vita Nova”. Progetto Arca concorda citando sempre Milano. 

È bello che la storia di Giuliano si sia risolta. È preoccupante che invece Repubblica pubblichi notizie non vere, che il lettore oltretutto paga con soldi veri.

Ho chiesto spiegazioni a Repubblica e a Fanpage. Ringrazio Massimiliano A. per la segnalazione.

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2022/11/1 23:10. Maurizio Molinari, che è un giornalista ed è editor in chief di Repubblica, ha anche lanciato la notizia su Instagram (copia permanente). Però le fake news sono colpa degli anonimi su Internet, mi raccomando. E se il giornalismo si riduce a una pubblicità enorme accompagnata da una notizia falsa, forse abbiamo un problema, e non è “l’algoritmo” (per citare “Boris”).


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2022/11/03 21:30. Molinari ha scritto su Instagram quanto segue: “Dopo le segnalazioni di alcuni lettori, abbiamo provveduto ad un’accurata revisione di questo articolo che si è rivelato non adeguato agli standard qualitativi di Repubblica. Abbiamo pertanto provveduto a rimuovere il contenuto. Ci scusiamo con i lettori e con gli interessati.” Non si sa se i lettori che hanno pagato per leggere quell’articolo “non adeguato” verranno risarciti.