Mi avete segnalato in tanti l’articolo a firma di Luigi Grassia su
La Stampa, intitolato
Polemica: sulla Luna siamo andati o no? Il film “Fly me to the Moon”
rilancia i dubbi.
https://www.lastampa.it/scienza/2024/07/12/news/luna_allunaggio_complottisti_film-14469791/
(copia su Archive.is)
Grassia lancia una serie di insinuazioni venendo meno a uno degli obblighi
fondamentali di qualunque giornalista: documentare le proprie fonti.
Per esempio, afferma che
“alcune delle foto che la Nasa ha diffuso al tempo delle missioni Apollo
sono state riconosciute come false dalla stessa Nasa, che ha dovuto
ritirarle”. In che occasione, quando e dove lo avrebbe riconosciuto? C’è un comunicato
stampa, un documento, una dichiarazione di un portavoce? Boh. Non viene detto.
Grassia scrive che
“la Nasa diffuse a suo tempo, fra migliaia di altre, una doppia versione di
una foto dell’Apollo 15 sulla Luna.”
Ma pagando la differenza, per l’amor del cielo,
si potrebbe sapere quale sarebbe questa foto? Ogni foto degli allunaggi
(ce ne sono circa ventimila) ha un numero di serie: è così difficile
citarlo, così magari il lettore può andare a vedersi questa fantomatica
“doppia versione”? Macché. Ci dobbiamo fidare ciecamente di quello che afferma
Grassia.
L’unico indizio che l’autore dell’articolo ci concede è questa prolissa
descrizione (che inficia qualunque scusa del tipo
“eh ma il numero di serie della foto non ci stava nell’articolo per
esigenze di spazio”):
“Nell’una e nell’altra si vede il comandante nella stessa posizione, vicino
al modulo lunare e a una bandiera americana piantata al suolo. L’angolazione
dell’inquadratura è la stessa e la posizione relativa dei tre soggetti
astronauta-modulo-bandiera è identica. Per essere precisi, in una delle due
il comandante Dave Scott ha le gambe appena un po’ più divaricate e
nell’altra appena un po’ meno, quindi si tratta di due scatti differenti, ma
presi in rapida successione esattamente dallo stesso punto. Infatti le due
immagini del modulo lunare e della bandiera sono esattamente sovrapponibili.
Eppure, sorpresa, il profilo della collina che fa da sfondo a queste due
foto ufficiali è completamente diverso: in una copre tutto l’orizzonte e
nell’altra circa la metà.”
La “doppia versione” della foto di Apollo 15
Quali potrebbero essere queste foto misteriose? Ho fatto una ricerca nei miei
archivi: ho i cataloghi originali completi delle missioni Apollo,
distribuiti su carta dalla NASA all’epoca, che fanno testo più di qualunque
fonte online. Secondo questi cataloghi ufficiali, le foto della missione
Apollo 15 nelle quali si vede il comandante Scott accanto al modulo lunare e
alla bandiera sono cinque in tutto.
Gli astronauti lunari di quella missione, Dave Scott e Jim Irwin (il terzo, Al
Worden, rimase in orbita intorno alla Luna nel veicolo principale), scattarono
sulla superficie lunare ben
1151 fotografie su pellicola 70mm, in bianco e nero o a colori, usando i caricatori (magazine)
etichettati
SS
(b/n, 171 foto);
MM
(b/n, 115 foto);
LL
(b/n, 177 foto);
NN
(colore, 165 foto);
KK
(colore, 131 foto);
TT
(colore, 94);
WW
(b/n, 164);
PP
(b/n, 88);
OO
(b/n, 46).
Facendole passare pazientemente una per una (cosa che Grassia avrebbe potuto
evitarmi di fare se solo avesse citato il numero delle foto in questione)
risulta che le immagini corrispondenti alla descrizione (astronauta con
bandiera e modulo lunare) sono la AS15-88-11863, 11864, 11865, 11866
(caricatore TT) e la AS15-92-12444, 12445, 12446, 12447, 12448, 12449, 12450,
12451 (caricatore OO).
Ma Grassia parla di una foto di Scott, il comandante, e la tuta del comandante
è riconoscibile grazie alla banda rossa sul casco, per cui possiamo escludere
le foto 11864, 11865, 11866, 12444, 12445, 12446, 12447 (che mostrano Irwin,
senza banda rossa sul casco). Restano quindi cinque foto candidate: 11863,
12448, 12449, 12450, 12451.
Eccole qui: vedete per caso in qualcuna di queste foto quel
“profilo della collina che fa da sfondo a queste due foto ufficiali”
che sarebbe
“completamente diverso: in una copre tutto l’orizzonte e nell’altra circa
la metà”? O semplicemente Grassia ha scritto una minchiata?
11863.
12448.
12449.
12450.
12451.
Prosegue Grassia:
“La Nasa ha riconosciuto che questo è impossibile (e ci mancherebbe altro)
pur avendolo fatto senza enfasi, non nell’ambito di un’autocritica
generale”. Ma davvero? Dove lo avrebbe fatto? Quando? Si può avere uno straccio di
fonte di questa asserita “autocritica”, o dobbiamo ancora una volta
fidarci della parola di Grassia, che a quanto risulta non è particolarmente
affidabile, vista la fandonia della “doppia versione” che ha appena
regalato ai lettori (paganti) de La Stampa?
Le “ammissioni sporadiche”
“Ma non si è trattato di un caso isolato” scrive poi Grassia. A suo dire
“ci sono state alcune altre ammissioni sporadiche di falso. Ad esempio,
riguardo a un’immagine in cui una serie di riflettori si specchia
inopportunamente sulla visiera di un astronauta, oppure un’altra in cui un
incongruo cono di luce, tipo faretto, piove dall’alto (partendo da una
misteriosa chiazza bianca) a illuminare una presunta superficie lunare.”
Si va di male in peggio: se nel caso precedente Grassia aveva perlomeno
indicato la missione alla quale si riferiva, qui non indica neanche questo
dato. Per cui per sapere a quali foto si riferisce dovrei farmi passare
seimilacinquecento immagini. Ma anche no. Sospetto di sapere a quali
foto si riferisce il giornalista, ma mi piacerebbe sapere da lui quali sono di
preciso.
E ancora una volta manca completamente qualunque indicazione di
dove, come o quando sarebbero state fatte queste “ammissioni”.
L’“autenticazione” della NASA
Grassia insiste:
“La Nasa per ragioni sue ha autenticato alcune di queste foto, per sua
ammissione successiva false, provenienti da studi fotografici allestiti
sulla Terra, salvo fare marcia indietro alcuni anni dopo.”
Quali avrebbe autenticato? Dove? E dove sarebbe stata pubblicata questa
“ammissione successiva”? In che anno, in che modo, da parte di chi
sarebbe avvenuta questa ipotetica “marcia indietro”?
La NASA “confusa”
“Tra le foto fasulle scattate in questi studi (o ritoccate) e quelle vere
fatte sulla Luna era difficile o impossibile scegliere: apparivano
indistinguibili, quanto a verosimiglianza, agli occhi della stessa Nasa, che
infatti si è confusa.”
Anche qui, nessuna indicazione di dove si sarebbe “confusa”. E affermare che
le foto “fasulle” (che non abbiamo ancora capito quali siano) sarebbero
“indistinguibili” è una fesseria tecnica assoluta.
Primo, le condizioni di illuminazione della superficie lunare sono
estremamente particolari e difficilissime da replicare sulla Terra: assenza
totale di offuscamento atmosferico, per cui tutto è nitidissimo fino
all’orizzonte; una singola fonte primaria di luce (il Sole), in un cielo che
per il resto è nero (a parte il bagliore della Terra e quello trascurabile
delle stelle). Per cui distinguere una foto fatta sulla superficie lunare
reale da una foto fatta in studio è piuttosto facile per una persona
competente.
Secondo, sappiamo benissimo quali sono le foto reali. Le pellicole
originali sono ancora conservate e consultabili. Subito dopo le missioni,
furono fatte copie per contatto dei rullini integrali (si trovano in vendita a
prezzi da collezionisti). Da anni i rullini integrali sono stati scansionati e
messi online. Basta guardarli per sapere se una foto è autentica oppure no.
Ma si badi bene, dice Grassia, che le sue asserzioni “sono punti fermi, non illazioni.”
No, signor Grassia, sono minchiate. Mi scusi la schiettezza, ma non c’è
altro termine che le definisca adeguatamente. Lei dice che la NASA si è
“confusa”, ma a me viene il dubbio che la confusione stia altrove, non a
Houston.
Ancora la tuta troppo luminosa e i riflessi nella visiera, che noia
Le sciocchezze complottiste presentate da Grassia proseguono con due
classici intramontabili:
- il presunto mistero di come mai la tuta di un
astronauta (Aldrin, Apollo 11) sarebbe troppo illuminata e sarebbe stata
“ritoccata per schiarire l’immagine dell’uomo e farla risaltare in modo
che il tutto non risultasse buio”
(falso, la tuta era altamente riflettente ed era illuminata dalla tuta
altrettanto riflettente del fotografo, Neil Armstrong, che infatti
rischiara tutto il lato in ombra del modulo lunare, come ho spiegato nel
mio libro gratuito online
Luna? Sì, ci siamo andati!);
- e l’altrettanto presunto mistero del punto di inquadratura
asseritamente troppo elevato in una foto della missione Apollo 12 che
mostra gli astronauti riflessi nelle rispettive visiere riflettenti: chi
se la sente di spiegare a Grassia come funziona uno specchio curvo?
Scusate se non mi dilungo a spiegare di nuovo tutti questi “misteri”; l’ho già fatto troppe volte e mi fa davvero tristezza vedere così tanta ignoranza dei concetti di base della fisica e di come funziona il mondo che ci circonda. Di questo passo, dovrei mettermi a spiegare che la Terra non è piatta e che le mucche lontane sembrano piccole perché sono lontane, non perché sono mucche nane (Father Ted).
La minchiata finale è un insulto a tutta l’industria aerospaziale, anche
italiana
Va be', magari pensate che io me la prenda troppo. Chissenefrega se sulla Luna ci siamo andati o no 55 anni fa, ci sono problemi più attuali e importanti, direte voi. La gente sulla quale i complottisti e i disinformati come Grassia tirano disinvoltamente fango, dall’alto della loro incompetenza arrogante, è quasi tutta morta. Dei dodici uomini che hanno camminato sulla Luna ne restano in vita solo quattro (Scott, Duke, Schmitt, Aldrin). Tanti dei protagonisti di quell’epoca ci hanno lasciato. Per cui non avete tutti i torti.
Ma quello che mi rode è soprattutto lo schiaffo, l’insulto a tutti coloro che oggi lavorano nell’industria aerospaziale, comprese le tante aziende italiane, come Thales Alenia, che stanno lavorando adesso alla costruzione di una stazione orbitale lunare e a veicoli per tornare sulla Luna con equipaggi. Gente che secondo Grassia è invece inetta e incapace, a giudicare da questa sua frase: “purtroppo la tecnologia con cui mezzo secolo fa siamo andati sulla Luna è
andata perduta e non si riesce a replicarla”.
No, caro collega. Prima di tutto, la tecnologia spaziale degli anni sessanta non è “andata perduta”, ma è diligentemente archiviata e viene tuttora consultata da chi costruisce veicoli spaziali in tutto il mondo. Ed è falso che “non si riesce a replicarla”, che vuol dire dare dei coglioni incapaci agli ingegneri aerospaziali di oggi. Si riesce eccome, ma si vogliono evitare i rischi pazzeschi che furono accettati mezzo secolo fa, e ci sono molti meno soldi, per cui si procede con grande prudenza. La capsula Orion che riporterà gli equipaggi umani verso la Luna ha già volato. Il progetto Artemis procede; solennemente, ma procede. Elon Musk lancia razzi supergiganti destinati alla Luna. Ma mi sa che Grassia non se n’è accorto, preso com’era a guardare i profili delle colline.