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Perché l’accordo sulla direttiva Copyright è pessimo

15 Febbraio 2019 9 min lettura

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Perché l’accordo sulla direttiva Copyright è pessimo

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Dopo oltre due anni di dialoghi abbiamo finalmente il testo della direttiva Copyright (qui il comunicato stampa) che sarà sottoposto al vaglio del Parlamento europeo per l’approvazione finale.

Il 18 gennaio scorso il Consiglio dell’Unione europea aveva respinto il mandato negoziale per la fase finale, a seguito dell’opposizione di ben 11 paesi. L’agenda dei negoziati venne, infatti, sospesa temporaneamente e il meeting del 21 gennaio cancellato.

Leggi anche >> La battaglia sul copyright alle battute finali: le forze in campo e i diritti dei cittadini da salvaguardare

Poi, nonostante permanga l’opposizione di ben sette di quei paesi, Francia e Germania hanno negoziato un accordo tra loro che sblocca la situazione. La Francia era contraria all'introduzione di un’esenzione per le piccole e micro imprese, con riferimento all'articolo 13, mentre la Germania insisteva sui tale punto (leggi articolo della parlamentare Julia Reda). Alla fine raggiungono un accordo che riavvia le negoziazioni, le quali si chiudono il 13 febbraio con la finalizzazione del testo.

Cosa prevede il testo

Articolo 11 (diritti accessori per gli editori)

L’articolo 11 crea un nuovo diritto a favore degli editori (leggi Europa, una tassa sui link a favore degli editori. Perché è sbagliata) in base al quale essi dovranno autorizzare espressamente ogni ripubblicazione delle notizie. Il testo finale ricalca da vicino una legge approvata tempo fa in Germania, che non ha portato nemmeno un euro in più nelle casse dell’industria editoriale o di qualche giornalista. Prevede che la riproduzione di articoli di notizie dovrà essere soggetta ad una licenza, tranne nei casi in cui si tratti di “singole parole o estratti brevi”. Non vi è alcuna eccezione per organizzazioni no profit o blog, e comunque il testo apre a notevole incertezza giuridica perché non c’è alcuna definizione di “brevi estratti”. In sostanza anche un titolo con un link sarà quasi certamente soggetto alla norma. I termini saranno precisati dalle normative nazionali col rischio di 28 sistemi diversi e quindi di una frammentazione del nuovo diritto.

La norma in questione non tutela affatto gli autori, ma mira palesemente a proteggere gli investimenti economici, così “coprendo” qualsiasi contenuto indipendentemente da una loro “originalità”.

Una norma simile è stata approvata in Spagna, con la conseguenza di concentrare il traffico nelle mani dei grandi editori, a svantaggio dei piccoli editori e dei siti di news minori. Google ha già precisato che non firmerà accordi con tutti gli editori, ma valuterà caso per caso. Questo perché per il gigante di Mountain View già il traffico che direziona verso il sito dell’editore ha un valore economico. Nel caso di rifiuto, l’editore potrà decidere tra fornire gratis i contenuti oppure non comparire sui servizi di Google. È probabile che ci perderanno i “piccoli” editori.

Articolo 13 (filtri di caricamento)

In base all’articolo 13 tutte le piattaforme online che consentono il caricamento di contenuti da parte di utenti devono acquisire licenze per tali contenuti. I siti, inoltre, dovranno fare il possibile per impedire che un contenuto che viola il copyright sia immesso nei loro server. Non è prevista un’eccezione generale per le PMI (piccole medie imprese), ma una serie di criteri di esenzione per le imprese che:

  • Sono disponibili al pubblico da meno di 3 anni.
  • Hanno un fatturato annuo inferiore ai 10 milioni.
  • Hanno meno di 5 milioni di visitatori unici al mese.

Le conseguenze sono ovvie. Innanzitutto è impossibile per una piattaforma acquisire le licenze per tutti i contenuti possibili ed immaginabili (visto che la licenza dovrà essere acquisita prima del caricamento). E sicuramente si tratta di un compito improponibile per le piccole aziende. Inoltre, l’obbligo di fare il possibile per impedire il caricamento di contenuti in violazione del copyright potrà essere ottemperato solo con l’utilizzo di strumenti di filtraggio dei contenuti immessi dagli utenti. Andranno filtrati tutti i contenuti, quindi testo, musica, audio, immagini, mappe, diagrammi, foto, video, film, software, modelli 3D ecc…, per alcuni dei quali semplicemente non esistono sistemi di filtraggio. Il costo di tali sistemi costituirà una barriera all’ingresso del mercato per le piccole aziende.


Teniamo presente che i sistemi di filtraggio, oltre che essere costosi, sono imprecisi e ampiamente soggetti ad abusi. Oggi siamo al punto che vengono utilizzati a fini di estorsione. Un “piccolo” artista, ad esempio, che guadagna pubblicando sue opere su YouTube, viene bersagliato da false dichiarazioni di violazione del copyright. Poiché se tali reclami si susseguono il sistema prevede la cancellazione dell’account dell’utente, è possibile che all'artista venga richiesto di pagare per evitare che il suo account sia cancellato (così perdendo la sua fonte di guadagno). Le grandi aziende del copyright hanno accessi privilegiati e quindi possono rimettere online i loro contenuti senza problemi, i “piccoli” no, e quindi rischiano. In breve il sistema “disincentiva” a fare da soli senza intermediari (la grande industria).

Infine, se un tribunale dovesse verificare che le attività poste in essere dalla piattaforma non sono sufficienti, questa diverrà direttamente responsabile per i contenuti immessi dagli utenti. L’ovvia conseguenza è che le piattaforme applicheranno i sistemi di filtraggio in maniera molto restrittiva per evitare di doverne rispondere, con evidenti ricadute sulla libertà di espressione e limitazioni per i diritti dei cittadini in rete.

Ovviamente si potrebbe rispondere che l’esenzione sia stata prevista proprio per ovviare al problema, purtroppo è configurata in modo da non essere applicabile nella maggioranza dei casi, coprendo solo quelle realtà che sono talmente piccole da non impensierire minimamente la grandi piattaforme del web. Ad esempio, le classiche piattaforme che aiutano proprio gli artisti e i creatori non rientrano nell’eccezione. Come Patreon, una piattaforma molto utilizzata da produttori video, artisti web, scrittori e musicisti che preferiscono rivolgersi direttamente ai loro utenti senza intermediazioni della grande industria. A significare che la riforma non è studiata affatto per tutelare gli artisti bensì le grandi aziende.

L’Europa sta promuovendo il Digital Single Market, il mercato unico digitale al fine di alimentare l’economia europea e creare posti di lavoro. Questa direttiva, invece, scoraggerà proprio quelle aziende che nascono nell’ambiente digitale, e quelle già nate saranno scoraggiate dal crescere per non incappare in obblighi piuttosto pesanti. Il segnale inviato alle imprese è ovvio: andate altrove.

Il testo, inoltre, prevede un’eccezione per i contenuti costituenti satira, parodia, citazione, critica. La norma stabilisce che gli Stati devono assicurare la tutela delle esistenti eccezioni in tale materia, peccato che tali eccezioni non siano previste in tutti gli Stati, con notevoli problemi nell’applicazione pratica. Oltretutto rimane sempre il problema principale che i contenuti sono “valutati” automaticamente dal sistema di filtraggio, quando è notorio che un software del genere è assolutamente incapace di stabilire se ad un contenuto sia applicabile un’eccezione.

Articolo 3 (Text and Data Mining)

L’eccezione per il Text and Data Mining è stata ostacolata al punto che i titolari dei diritti possono impedire che i loro lavori siano documentati e utilizzati da terzi, tranne se si tratta di organizzazioni di ricerca.

Perché è un pessimo testo

L’attuale testo della direttiva appare confuso, mal scritto e privo di effettive definizioni, per cui molto dipenderà dall’attuazione dei singoli Stati. Si presenta come il risultato di un compromesso tra i desiderata dell’industria dei contenuti, alleata con la grande editoria, e le esigenze delle grandi piattaforme del web. Entrambe, infatti, dietro le quinte si sono mosse con persistenti attività di lobbying. Il testo, nella sua progressione, è stato più volte modificato concentrando su di sé una quantità crescente di critiche, non solo da parte dei cittadini, ma anche di interi settori della stessa industria che inizialmente spingeva per l’adozione della riforma. Nonostante ciò, il legislatore si è mostrato del tutto impermeabile, andando avanti senza curarsi delle voci contrarie, neanche se provenienti da esperti di tutto rispetto.

La situazione è tale che alcuni commentatori si sono spinti fino a chiedersi se il legislatore sapesse di cosa sta parlando. E tale dubbio è stato alimentato anche da “incidenti” piuttosto sintomatici, come l’emendamento sugli eventi sportivi approvato in commissione JURI senza che se ne accorgessero (“Someone amended this. No one had been aware of this”). Poi rimosso.

È, però, piuttosto difficile credere che a fronte di una petizione di oltre 4 milioni di cittadini e così tante critiche, il legislatore non sappia esattamente cosa sta facendo. In realtà, almeno nei suoi principi, il risultato è esattamente quello voluto da chi ha portato avanti la riforma. Per questo si è arrivati a nascondere gli effetti delle norme, a minimizzare e perfino a mentire su alcuni punti, pur di portare avanti questo testo. Basta leggere il Q&A sulla riforma, un esempio di vera e propria disinformazione e “propaganda” istituzionale.

Lì, ad esempio, si legge che la riforma non creerebbe nuovi diritti a favore di giornalisti e creativi, nascondendo che la riforma crea, invece, un nuovo diritto a favore degli editori, un qualcosa che prima semplicemente non esisteva. Lì si legge che la riforma non è indirizzata all’utente finale, nascondendo però che l’impatto sul cittadino-utente finale sarà molto pesante.

Soprattutto, lì si legge che le grandi piattaforme online e gli aggregatori di news saranno motivate a stipulare accordi con le aziende dei contenuti, e saranno incentivate perché, altrimenti, risponderanno di eventuali violazioni del copyright. L’obiettivo, nemmeno tanto velato, è quello di costringere le grandi piattaforme del web a pagare l’industria del copyright. Il resto, i diritti dei cittadini, gli artisti, le piccole aziende, le start-up, sono solo meri accidenti sul percorso. L’industria tecnologica, l’industria emergente (se ancora la si può ritenere tale) “deve” pagare l’industria dei contenuti e l’editoria, l’industria più vecchia ed incapace di adattarsi all’ambiente digitale, se vuole continuare a fare il suo business. E come contentino, si introducono degli obblighi talmente stringenti che finiscono per porre delle barriere all’ingresso del mercato delle piattaforme del web, che potranno consolidare la loro posizione semi monopolistica. Il cerchio si chiude.

È sintomatico che nel Q&A le telefonate e le mail inviate dai cittadini preoccupati ai parlamentari, invece di essere salutate come esempio di partecipazione al dibattito pubblico, addirittura sono tacciate di campagna lobbistica, laddove non c’è menzione, di contro, della massiccia campagna lobbistica portata avanti dalla grande industria, sia tecnologica che del copyright e editoriale (leggi: Copyright Directive: how competing big business lobbies drowned out critical voices), quest’ultima responsabile dell’80% dell’attività di lobbying in materia. Oltre a quelle poche, anzi pochissime (praticamente una sola, visto che ContentId di YouTube di fatto è basato sulle licenza di Audible Magic), aziende che vendono i sistemi di filtraggio (qui thread su Twitter). Quella, evidentemente, va bene.

The voices of civil society organisations, small platforms, libraries, academics, citizens and even the UN Special Rapporteur on Freedom of Opinion and Expression were the collateral damage of the dispute between competing big business lobbies. Lobbyists and groups with a vested interest dominated the debate, while citizens’ opinions and interests were crowded out of the discussion (dal rapporto di Corporate Europe Observatory)

Le principali voci critiche

Lettera di Sir Tim Berners-Lee e 70 esperti inviata al Parlamento europeo, per la soppressione dell’articolo 13.

Lettera di oltre 50 ONG a tutela dei diritti umani inviata al Parlamento europeo per la soppressione dell’articolo 13.

Lettera degli accademici di 25 centri di ricerca sulla proprietà intellettuale per la soppressione dell’articolo 13.

Raccomandazione di 56 studiosi sulla incompatibilità dell’articolo 13 con la normativa comunitaria.

Gli editori di media innovativi esprimono la loro preoccupazione sull’articolo 13.

Allied for startup spiega che il filtraggio dei contenuti ridurrà la competizione e l’innovazione in UE.

Oltre 110 MEP criticano l’articolo 11.

Parere del relatore speciale dell’ONU sulla libertà di espressione contro l’articolo 13.

Lettera della coalizione Innovative Media Publishers, insieme a 37 associazioni di editori di piccole e medie dimensioni contro l’articolo 11.

E adesso?

Il testo passa al Parlamento europeo che potrà comunque apportare delle modifiche, oppure decidere di approvarlo o rigettarlo. Il voto in plenaria potrà avvenire a fine marzo (25) o agli inizi di aprile (4).

Leggi anche >> I danni che la direttiva sul copyright farà alle nostre libertà e cosa possiamo fare per contrastarla (Perché una riforma del copyright serve ma non questa riforma)

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Su SaveYoutInternet puoi controllare come hanno votato i parlamentari europei.

Puoi ancora firmare la petizione.

Immagine in anteprima via Pixabay

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