Activision presenta un videogame piuttosto duro
e realistico ambientato nel castello di Himmler


Videogiochi "nazisti"
protesta il Centro Wiesenthal

Si tratta di un'evoluzione del vecchio "Wolf", ma questa
volta si può giocare anche la parte del tedesco


di FABIO SANTOLINI
 

ROMA - Nessun protagonista nazista. Era l'ultima regola seguita nel mondo dei videogiochi di guerra e violenza. Adesso il tabù è stato violato da un grande marchio Usa dell'intrattenimento, la Activision, che ha di recente presentato al pubblico americano un gioco intitolato "Return to Castle Wolfenstein", una evoluzione "Wolfenstein 3D", creato dalla Id Software nel 1992.

Nel famoso e vecchio "Wolf" i giocatori potevano impersonare solo il "buono", un soldato (americano?) armato fino ai denti che entrava nel castello e poteva ammazzare centinaia di crudeli "nazi" a loro volta ben equipaggiati e forniti addirittura di cani e di mostri. Gli scenari erano molto stilizzati: lunghi muri di mattoni rossi ornati di svastiche e di altri complicati simboli del Terzo Reich e porte d'acciaio. Di livello in livello si poteva arrivare allo scontro finale con il fuhrer in persona: Adolf Hitler. Un gioco che ebbe successo e sicuramente "corretto" dal punto di vista politico.

Questa volta, invece, le cose cambiano in modo anche "pesante". Nello scenario dello stesso (ma evoluto) castello dove vengono fatti gli esperimenti genetici del criminale Heinrich Himmler, i giocatori si danno battaglia e, questa volta si può anche stare dalla parte dei nazisti oltre che da quella degli alleati. I produttori del gioco si sono giustificati, dicendo al "New York Times" che in realtà non compaiono simboli odiosi come la svastica. "Il mercato tedesco per noi è molto importante", hanno aggiunto, in riferimento al divieto di legge, in Germania, di pubblicare immagini che facciano riferimento al Terzo Reich. Una legge simile a quella italiana.

Il quotidiano Usa ha scoperto che in realtà, nella versione per giocatore unico, i simboli proibiti compaiono bene in evidenza. Infatti, il sito Internet che pubblicizza "Return to Castle Wolfenstein" avverte che esso non può essere venduto in Germania o in Austria (dimenticandosi dell'Italia). Ma secondo Todd Hollenshead, dirigente dell'azienda che ne ha realizzato il software, si tratta soltanto di un divertimento che segue il rinnovato interesse del pubblico americano per le vicende della seconda guerra mondiale.

Proteste sono arrivate da Mark Weitzman, il direttore della task force del Centro Wiesenthal contro l'odio razziale: "Incoraggia le persone ad esprimere quelli che sono giustamente considerati sentimenti socialmente inaccettabili, come il razzismo e l'antisemitismo".

In realtà, il tabù del protagonista nazi nei videogames era già stato infranto, oltre che dal vecchio "Wolf", anche da "Day of Defeat", creato però non da una multinazionale del divertimento bensì da 17 giovani programmatori che hanno modificato, nazificandolo, un innocuo gioco di fantascienza. E le chat-line tra giocatori si sono trasformate in uno scambio di volgarità neonaziste, tra persone che usano come nickname "Mein Kampf", "Gioventù hitleriana", oppure "ZyklonB".

C'è chi sdrammatizza, come l'avvocato 34enne Bruce Boyden, che ha spiegato: "E' un problema di tutti i giochi, c'è sempre una vena di odio. Il fatto è che la maggior parte dei giocatori sono teen-ager o ventenni, per cui le dinamiche sono molto simili alle battute che si fanno negli spogliatoi maschili".

(4 gennaio 2002)
 


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