Brevetti software, resistere alla tentazione

L'Europa e' in procinto di una importante decisione: abbracciare o meno la normativa sui brevetti software come e' gia' in vigore negli USA da oltre vent'anni. A un occhio distratto e idealista la soluzione parrebbe evidente.



[ZEUS News - www.zeusnews.it - 30-07-2004]

Come resistere alla tentazione di ergersi a paladino e tutore dei diritti sull'ingegno umano? Come evitare di proteggere il duro lavoro di tecnici e inventori?

Purtroppo la situazione non e' cosi' chiara, o perlomeno non va posta in questi termini. La proposta, emendata nel settembre 2003 e ora ripresentata in una veste peggiore della precedente, consentirebbe la concretizzazione di uno scenario identico a quello statunitense dove viene riconosciuta la brevettabilita' di un concetto o di un modello di business.

Sono esempi reali il brevetto sul "cestino della carta straccia" della Apple, del "link ipertestuale" di British Telecom o del recente rilascio del "doppio click" alla Microsoft.

Non e' un caso che tutti i detentori di questi assurdi brevetti cosi' generici siano enormi aziende quasi sempre multinazionali. Sono le uniche in grado di sostenere gli enormi costi burocratici della registrazione di questi brevetti, fondi che vengono effettivamente sottratti dai bilanci della Ricerca & Sviluppo.

E' infatti dimostrato che proprio negli USA l'istituzione del brevetto software e' stata la causa di un grave rallentamento nello sviluppo e nell'innovazione e il fulcro della costituzione di "Cartelli di fatto" nati da "accordi di non belligeranza" tra le aziende che possiedono questi titoli semi-onnipotenti.

Questi accordi non vengono toccati dalle normative antitrust ma garantiscono una barriera efficacissima contro l'attivita' delle piccole e medie aziende che non hanno la possibilita' di associarsi e rimangono vittima di nuovi costi legati alle licenze imposte.

Chi paga questi nuovi costi? Naturalmente i clienti!

Va ricordato che in massima parte il corpus industriale europeo e' composto proprio da piccole e medie aziende, quelle piu' colpite dall'eventuale provvedimento, causando una perdita di competitivita' e liberta' sul mercato e incentivando soluzioni provenienti da paesi emergenti come India o Cina.

Questo disastro e' causato dalla protezione di un concetto e non del programma. Infatti in Europa gli sviluppatori sono adeguatamente tutelati dalla normativa sul Copyright che equipara il software ad un testo o a brano musicale.

E' come se una grande casa discografica brevettasse una scala armonica: tutte le scuole di musica dovrebbero pagarne la licenza! Oppure si potrebbe brevettare un "testo di narrativa in cui un'indagine e' volta a smascherare un assassino" vincolando cosi' la produzione dei gialli. Assurdo, vero?

Ma c'è di peggio. Trascurando l'inefficenza riconosciuta degli Uffici Brevetti (gravati da un peso burocratico costoso e insostenibile) ampiamente dimostrata dall'avvocato australiano John Keogh che ha depositato un brevetto sulla ruota, bisogna fare una riflessione sulla condizione del software libero.

Esso sarebbe messo in grave difficolta' da una tale situazione. Nessuno potrebbe pagare una licenza per un software che per sua stessa natura e' destinato per muoversi incontrollato ed essere continuamente modificato dagli sviluppatori.

Per esempio, oggi, non esiste un algoritmo non brevettato per l'elaborazione di filmati nel formato mp4 e quindi non potra' mai esistere legalmente un programma gratuito (e libero) in grado di leggerli. Analogamente e' accaduto con le immagini in formato gif e l'audio mp3 con una sorta di trabocchetto per il quale i diritti sono stati reclamati solo dopo l'affermazione del formato.

Negli Stati Uniti e' tuttora illegale guardare DVD regolarmente acquistati tramite programmi gratuiti come mplayer, xine o ogle a causa del brevetto sul notissimo algoritmo di criptazione css che tanto ha fatto parlare di se'.

La stesura di nuovo codice in questo scenario costringerebbe il programmatore ad un terribile lavoro di indagine sui brevetti gia' depositati (circa 10.000 in Europa che potrebbero diventare legali).

Il problema essenziale e' quindi la genericita' con cui vengono descritte le idee che portano come risultato al rafforzamento delle posizioni delle aziende molto grandi a scapito delle piccole e medie attivita' e, quindi del cliente, oltre al gravissimo pericolo corso dal movimento per il software libero (GNU/Linux e freeBSD per citarne alcuni).

La posizione del governo Italiano, per fortuna, sta dalla parte del buonsenso: il Ministro per l'Innovazione e le Tecnologie Lucio Stanca afferma che "un eccessivo ricorso al brevetto del software rischia di svantaggiare le piccole e medie imprese del settore, limitando di fatto lo sviluppo del mercato".

Il Ministro ha fornito quindi un indirizzo preciso per i nostri Europarlamentari che si sono astenuti dal votare la risoluzione proposta dalla attuale Presidenza Europea irlandese.

Pare infatti che l'Irlanda debba riconoscere il ruolo che le multinazionali del software hanno avuto nella crescita economica recente del paese, senza contare che il Trinity College di Dublino e' notissima a livello europeo per la formazione di avvocati specializzati in brevetti.

Va sottolineato l'impegno di Marco Cappato, del Partito Radicale Transnazionale: ha organizzato anche una conferenza sui brevetti, contribuendo a diffondere la consapevolezza del rischio corrente e insieme a lui si sono distinti in questa battaglia, tra gli altri, Admando Cossutta (Comunisti Italiani) e Cristiana Muscardini (Alleanza Nazionale).

Oltre all'Irlanda e alle multinazionali del software, si evidenziano le pressioni della famigerata Business Software Alliance (o BSA) giunta agli onori delle cronache grazie alla criticatissima campagna internazionale contro la pirateria. Non sara' che questi signori temano la concorrenza del software libero (e legale)?

Nota - Ho depositato una richiesta di brevetto sui "testi a scopo divulgativo e contenenti descrizioni sui pregi e difetti di una idea, un concetto o un prodotto". Faccio quindi divieto di repliche.

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