Alice e le meraviglie del copyright

Può, chi pubblica un testo non più soggetto a copyright, imporre limiti all'utilizzo della pubblicazione? E' proprio vero che il Web permetterà la libera circolazione del sapere annichilando ogni tentativo di controllarla? Scopriamolo con l'aiuto delle fiabe.



[ZEUS News - www.zeusnews.it - 27-07-2001]

Si, Alice è proprio lei, quella del Paese delle Meraviglie. Solo che questa sua nuova avventura non è affatto meravigliosa, anzi... Ma veniamo ai fatti. Il mercato dell'e-book e della pubblicazione elettronica comincia a prendere forma: chi intende coglierne le opportunità sta già cercando di conquistare qualche forma di esclusiva, nel tentativo di confinare la concorrenza in una nicchia e lasciarle solo le briciole. Perciò, ecco nascere i primi sistemi software per manipolare su personal computer i libri elettronici: Microsoft e Adobe hanno sviluppato due formati per la codifica dei documenti e relativi programmi per la loro lettura. Inutile dire che tra i due standard non c'è compatibilità (i testi codificati per un sistema non sono leggibili con l'altro) e i programmi di lettura sono disponibili, al momento, soltanto per Windows.

Ma che bisogno c'era, soprattutto per Adobe, di inventarsi formati nuovi quando il suo formato PDF è già considerato da tempo uno standard "de facto", è diffusissimo e sono disponibili readers gratuiti per quasi tutte le piattaforme?

Domanda ingenua... In quanto molto conosciuto, il formato PDF non protegge il contenuto dei documenti; inoltre, nato per altre finalità, non implementa controlli sulla licenza. Un file PDF, proprio perché leggibile da programmi non sviluppati dal suo inventore (la Adobe) può essere diffuso liberamente, senza alcun limite e senza possibilità di controllo da parte di chi lo ha generato.

Al contrario, un bel formato proprietario, chiuso, protetto da qualche leggina sul reverse engineering o segreto industriale o quant'altro, garantisce al produttore l'illusione di poter impedire la copia abusiva e lo impegna in una sana e leale competizione con i concorrenti eliminando qualsiasi posizione dominante, al tempo stesso regalando all'acquirente la necessità di installare più programmi, magari reciprocamente poco compatibili, per potere fare una cosa soltanto: leggere gli e-books di suo interesse... Insomma, un film già visto e rivisto fino alla nausea.

Ma, per gli attori del mercato del libro elettronico, è anche importante saggiare l'interesse del pubblico e le reali possibilità di ritorno economico, con investimenti inizialmente limitati. Cosa c'entra Alice in tutto ciò?

C'entra, perché alla Adobe devono avere pensato che pubblicare nel loro formato proprietario "Alice nel Paese delle Meraviglie" sarebbe stato un esperimento interessante e poco costoso: infatti, la famosa fiaba non è più sottoposta a copyright da parecchio tempo, quindi niente diritti da pagare, niente autorizzazioni da ottenere, niente editori da accontentare. Ma nella prima versione dell'e-book c'è qualcosa di strano: andando a curiosare nella sezione delle "permissions", si scopre che il libro non può essere stampato, nè possono esserne copiate sezioni nella clipboard, nè può essere prestato o ceduto. Insomma, pare proprio che Adobe abbia deciso di stendere nuovamente su "Alice" l'ombra del copyright. In proprio. Ma il ridicolo arriva là dove si legge che il libro non può essere letto ad alta voce ("This book cannot be read aloud"). Vergogna: come faranno i genitori ad addormentare i loro piccoli con le avventure della ragazzina e dei suoi strampalati amici?

I portavoce di Adobe hanno fornito una spiegazione un po' imbarazzata: il termine "permissions" non farebbe riferimento ai diritti generosamente concessi agli acquirenti dell'e-book, bensì alle operazioni che il software di lettura sarebbe abilitato ad effettuare. In particolare, la faccenda della lettura ad alta voce riguarderebbe l'interfaccia vocale del software, in questo caso inibita dall'interno del testo stesso. Ma la sostanza non cambia molto: resta il fatto che la versione e-book di "Alice" non può essere copiata o ceduta (il software, a quanto pare, implementa meccanismi di cessione temporanea o permanente delle capacità di operare sul libro elettronico, per simulare il prestito e la cessione di un libro "fisico").

A seguito delle polemiche suscitate, Adobe ha poi rilasciato, sempre in lingua inglese, una nuova versione dell'e-book, che può finalmente essere letta ad alta voce. Inoltre, può essere stampata e copiata, ma con parsimonia: non più di 10 pagine ogni 10 giorni. Tuttavia, non può essere prestata o ceduta.

Quest'ultimo aspetto è particolarmente interessante: cedere un libro cartaceo (regalarlo, rivenderlo) è una azione sempre possibile per chi lo ha in possesso e ne detiene la proprietà; soprattutto, si tratta di una azione lecita. A quanto pare, invece, la realtà virtuale supera il modello che tenta di riprodurre: giocando sull'interazione tra lo strumento di lettura e il formato (proprietario) del libro elettronico, Adobe impone all'acquirente vincoli che sarebbero improponibili per un testo stampato. Se il libro elettronico che io acquisto è marchiato in modo tale da non poter essere aperto dal reader di un'altra persona, chiunque desideri leggerlo dovrà acquistarne una copia. E dovrà acquistarla da Adobe, perché non potrà leggere la mia neppure qualora io me ne privi, come accadrebbe invece con un libro "vero". Capita, la furbata?

"Alice nel Paese delle Meraviglie", oltretutto, non è soggetto a copyright. Quindi, l'azione è esclusivamente volta alla massimizzazione del profitto, e lo è, finalmente, in modo palese: questa volta non sono in campo scrupoli (falsi) sulla tutela della paternità intellettuale.

E' giusto? E' lecito? Lecito, probabilmente, sì: non esistono leggi al riguardo, salvo forse l'insufficiente normativa sulle clausole vessatorie. Giusto, certamente, no. Vedremo se il diritto, che, come di consueto, non modella la realtà ma arranca al suo inseguimento, saprà cogliere e regolamentare equamente tali aspetti della diffusione telematica delle informazioni. Ma l'episodio, in sè quasi divertente, ci porta lontano: la Rete, la sua diffusione capillare, la relativa incontrollabilità dei contenuti che la formano e la percorrono, sono l'incubo, ampiamente demonizzato, di chi vuole gestire nel proprio interesse la diffusione delle informazioni, per garantirsi una posizione di monopolio culturale o semplicemente una fonte di reddito certo. Lo scenario potrebbe cambiare: Alice ci insegna che per implementare forme invasive di controllo non è necessario modificare l'hardware. Potrebbe accaderci (e accadrà, possiamo starne certi) di prelevare dalla Rete l'ultima versione del nostro software preferito, e trovarci nell'impossibilità di fare tutta una serie di cose che facevamo fino a quel momento senza neppure infrangere la legge.

Attenzione, dunque. Oltre al suggerimento, sempre valido, di non installare di corsa l'ultima versione disponibile dei programmi che utilizziamo, solo per il gusto di vivere "up to date" e di vedere il più presto possibile in ginocchio il nostro computer acquistato giusto qualche mese fa, teniamo sempre presente un'altra regola fondamentale: mai buttare via le vecchie versioni.

Analoghe considerazioni valgono, o varranno in un futuro non molto lontano, per i dispositivi fisici (masterizzatori, lettori cd e dvd, eccetera), ma di questo parleremo prossimamente.

Vi è venuta nostalgia di Alice? O delle sere in cui la mamma vi leggeva del Cappellaio Matto? Non comperate ciò che è disponibile gratis. E... buon divertimento!

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