Presso la Presidenza del Consiglio iniziano le prime audizioni del Comitato tecnico contro la pirateria digitale e multimediale. Dovrà pronunciarsi entro due mesi.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 05-03-2009]
Le associazione dei consumatori chiedono soluzioni eque al "problema" del peer to peer, e non la totale legalizzazione di un'attività che in alcuni Paesi viene considerata genericamente come "furto".
In altri Paesi, che evidentemente credono di vantare maggiori tradizioni giuridiche, tra cui il nostro, si è arrivati o si sta per arrivare all'emanazione di "leggi speciali" o persino all'istituzione di "tribunali speciali", soluzione rigettata persino in tempi non lontani di lotta politica estrema.
Detti tribunali potrebbero costituiti talvolta da giudici amministrativi, secondo l'insegnamento della cosiddetta dottrina Sarcozy, talvolta (seguendo altre proposte) da sezioni specializzate dei tribunali ordinari.
Per esempio Bsa Italia dal proprio sito incita alla delazione; inqualificabile anche la Siae che - spalleggiata da alcuni parlamentari - pare ignorare le decisioni europee in ordine al famoso "bollino" da applicare sui supporti multimediali. I bollini Siae, lo ricordiamo, costituiscono una vera e propria accisa da riscuotere all'origine e ancora oggi giuridicamente inesistente.
Il clima è avvelenato dagli interessi contrapposti di chi ipotizza una libera circolazione di tutte le conoscenze ed applicazioni digitali, e chi invece, accampa statistiche speciose quando non apodittiche, per conservare e consolidare il proprio monopolio distributivo di cognizioni e realizzazioni.
In questo scenario si cala il forum del Comitato contro la pirateria, organismo governativo coordinato da Mauro Masi che procederà da subito all'audizione di Anica, Frt, Fimi, Afi, Fapav e Aesi.
Se il buon giorno si vede dal mattino, occorre dire che si è partiti subito col piede sbagliato. Infatti l'unico organismo realmente indipendente tra quelli citati sarebbe forse l'ultimo, l'Associazione Europea di Studi Internazionali.
In pratica il Comitato contro la pirateria è una creatura del Dipartimento delle politiche comunitarie, che è lecito temere abbia l'unico compito di armonizzare la questione della pirateria europea sulla base di risultati della omologa Commissione Olivenne.
La dubitativa è puramente accidentale, poiché il Comitato si prefigge di "contrastare le conseguenze economicamente negative derivanti dalla violazione dei diritti di proprietà intellettuale". Parlano di "oltre 5 miliardi di euro di danni - la forchetta è tra i 4,6 e i 5,3 miliardi - , di cui circa 2 miliardi di pirateria riguarda il diritto d'autore". Danno perciò per scontati i dati economici forniti dalle major dell'intrattenimento.
Non ci si meraviglia se si pensa che il coordinatore Masi è segretario generale alla presidenza del Consiglio e delegato all'ONU per la proprietà intellettuale; dovrebbe quindi essere un esperto nel settore, anche se nella specie si presenta più che altro come esperto nella comunicazione... fuorviante.
Non basta infatti aprire un forum di discussione presso il sito antipirateria, pubblicizzandolo soltanto tra coloro che per ovvi motivi ritengono sin troppo benevole le disposizioni vigenti. Al confronto non sono invitate, nel comitato e fuori in un pubblico dibattito, le associazioni dei consumatori, dei provider e dei fornitori di accesso.
Né in conseguenza appare dirimente l'affermazione "Non esiste nessuna proposta precostituita ma, al contrario, il Forum aperto sul sito del governo sta raccogliendo tutte le proposte dei cittadini, dalle più approfondite a quelle più semplici, che saranno, tutte, esaminate con la massima attenzione. Il Comitato procederà quindi alle audizioni il cui calendario sarà reso pubblico sul sito. Quando, e se, sarà elaborata una proposta verrà resa subito di pubblico dominio."
Meno che mai tranquillizzante è la conclusione che il Comitato "sta elaborando propri studi e approfondimenti tecnico-scientifici: anche di questi sarà dato pubblico conto e, chi vorrà, potrà commentarli e/o proporne di propri". Gli studi scientifici esistono già, sono ovunque noti perché accessibili e affermano univocamente il contrario di quanto le major e i loro sodali vorrebbero gabellare per verità di fede.
Come è stato dimostrato più volte, la "pirateria" e segnatamente il peer to peer in campo musicale non hanno affatto danneggiato la vendita dei supporti, i cui cali sono dovuti a ben altri fattori tra cui non ultimo è il prezzo.
Al contrario, delle nuove tecnologie di condivisione si sono avvantaggiati larghi settori industriali e commerciali, legati alla diffusione della banda larga e della rete cellulare; persino alcune tra le major, evidentemente meglio guidate dai responsabili commerciali, hanno iniziato a togliere vincoli e lucchetti a parte delle opere protette del diritto d'autore.
Eppure le recenti affermazioni del ministro Bondi e di Bomaiuti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all'editoria, non suonano affatto rassicuranti in ordine a un equo confronto tra tutti gli interessati per addivenire infine a una soluzione condivisa.
Affidare l'intero comparto a una legge speciale antipirateria vuol dire da un lato deprimere il mercato culturale e dall'altro affrontare il problema solo inventandosi nuove barriere e istituendo sanzioni non solo spropositate ma profondamente ingiuste, con il rischio concreto di violare i diritti costituzionale dei cittadini.
Esemplificativa appare la posizione di Assoprovider, che in una petizione (inviata tra gli altri ad Adiconsum, Aiip, Assodigitale, Assoprovider, Dmin.it, Fimi, Google Italia, Isoc Italia, Istituto per le politiche dell'innovazione, Iwa Italy, Centro Nexa su internet & Societa', Microsoft e NNSquad Italia) afferma: "Nel resto del mondo le major iniziano a fare marcia indietro sulla lotta indiscriminata al fenomeno della pirateria digitale e multimediale comprendendo la scarsa utilità di una simile strategia e cercando di rispondere in modo innovativo al bisogno di cultura che alimenta tale fenomeno".
Al contrario "in Italia c'è il concreto rischio di violare i diritti fondamentali dei cittadini e di arrecare seri danni ad altre categorie pur di tutelare gli interessi di un ristretto gruppo e per giunta senza aver ascoltato il mondo della cultura digitale che tanto avrebbe da suggerire e chiudendo i lavori in fretta e furia in soli 60 giorni".
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