La legge in India prevede tasse salate sulle royalty? Bene, Microsoft sostiene che il proprio software viene venduto, non concesso in licenza. Ma arriva una condanna dal tribunale.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 04-04-2008]
Come si sa, Microsoft non vende il proprio software: basta leggere una qualunque delle licenze (le famose Eula: End User License Agreement, che nessuno legge mai) che accompagnano Windows o Office o uno qualunque degli altri prodotti della grande famiglia e si trova chiaramente scritto che il software è "concesso in licenza, non venduto".
Il che è come dire che il software resta di Microsoft anche se fisicamente il supporto sta in casa nostra; lei sola può deciderne l'uso (e infatti impone di installarlo su un solo Pc, a meno di licenze particolari), e l'utente deve sottostare alle clausole indicate, visto che paga non per averne la proprietà me per poterne usufruire: una royalty, insomma.
Tutto ciò funziona bene finché non si è in India. Lì, infatti, sulle royalty occorre pagare tasse salate, e dunque Microsoft si trova a dover sborsare dei soldi a causa di quanto previsto dalla sua stessa licenza. Non avendolo mai fatto, è stata chiamata in giudizio.
Sfortunatamente, l'Eula è lì per contraddire la sua padrona. Come abbiamo detto poc'anzi, è chiaramente esplicitato in ogni prodotto che non si tratta di vendita, ma di concessione in licenza. Ergo, la corte ha deciso contro Microsoft, e l'ha condannata a pagare per il periodo 1999 - 2004 una cifra equivalente a 175 milioni di dollari.
La questione non è comunque ancora conclusa: ora l'azienda può appellarsi al prossimo grado di giudizio. Tuttavia è affascinante come abbia cercato di far passare per fessi i giudici indiani, quando nel resto del mondo va gridando ai quattro venti che il software è suo e non degli utenti, ai quali è solo licenziato.
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