Anche se decisamente in ritardo, parliamo del VI Rapporto sulle Città Digitali realizzato quest'anno dal trio RUR-Censis-Formez (www.rur.it). Le città digitali sono le reti civiche, o, ancora meglio, i siti web della pubblica amministrazione. Io preferisco ancora parlare di reti civiche, perché il termine si ricollega a una tradizione ricca di spunti e idealità, specialmente nel campo della democrazia elettronica.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 01-03-2002]
Il rapporto in primo luogo ci informa sulle dimensioni del fenomeno: quasi tutti i capoluoghi e le Province hanno un sito web (ci sono solo tre eccezioni fra i primi Caltanissetta, Catanzaro e Vibo Valentia e due fra le seconde Crotone e l'Aquila); il 63,9% dei comuni con più di 5000 abitanti ha registrato un nome dominio, ma solo il 56,5% ha pubblicato effettivamente dei contenuti riconducibili a un sito.
Il rapporto conferma due tendenze importanti nell'evoluzione delle reti civiche in Italia: 1) una radicale istituzionalizzazione del fenomeno (ossia le reti civiche sono sempre più espressione monolitica e ufficiale dei Comuni come ente e sono ormai spariti gli spazi di socialità per i cittadini); 2) si sta affermando un digital divide (sì, un altro!) fra Comuni grandi e piccoli nella qualità e varietà dei servizi offerti.
In una mia ricerca sulle reti civiche della Provincia di Reggio Emilia ho studiato oltre ai siti anche l'organizzazione produttiva che li alimenta. La ricerca ha preso in esame sostanzialmente piccoli comuni (dei 45 della provincia, solo tre hanno più di 20 mila abitanti e, dei restanti, 18 ne hanno meno di 5000). Dallo studio è emersa una sostanziale mancanza di risorse dedicate ai siti (in genere sono gestiti da personale senza continuità e non qualificato), ma anche una precisa volontà dei responsabili volta a privilegiare le funzioni informative e di marketing territoriale, sopra ai servizi di democrazia elettronica e comunicazione bidirezionale.
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