Per un Giudice delle Indagini Preliminari di Milano è legittimo e lecito che un datore di lavoro possa entrare nella casella di posta elettronica di un dipendente e leggerne i contenuti. Questa è la sentenza rispetto al caso di una dipendente licenziata perché, durante un'assenza per ferie, il datore di lavoro aveva trovato nella sua e-mail aziendale messaggi riguardanti progetti estranei alla società. Una sentenza discutibile che legittimerebbe la lesione di più di un diritto individuale.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 01-06-2002]
A Milano una dipendente denuncia il prorio datore di lavoro per violazione dell'art. 61 del Codice Penale, quello che punisce chi viola il segreto epistolare, cioè legge una corrispondenza chiusa e diretta ad altri. Durante l'assenza della dipendente per ferie, il datore di lavoro aveva aperto la posta elettronica della dipendente e letto messaggi in cui si parlava di progetti estranei a quelli dell'azienda.
Secondo la sentenza del Gip di Milano, a cui la lavoratrice si era appellata, "il datore di lavoro ha diritto ad entrare nella casella di posta elettronica in uso al lavoratore e di leggere i messaggi in entrata e in uscita, dopo averne lecitamente acquisito la password, che ha come esclusiva finalità non quella di proteggere la segretezza dei dati personali contenuti negli strumenti a disposizione del singolo lavoratore, bensì solo quella di imedire che ai predetti strumenti possano accedere persone estranee alla società".
Secondo il giudice "l'uso della e-mail costtuisce un semplice strumento aziendale a disposizione dell'utente-lavoratore, al solo fine di consentire al medesimo di svolgere la propria funzione aziendale".
L'estensione di questa sentenza ad altri ambiti più tradizionali della comunicazione aziendale nasconderebbe enormi pericoli e ci si può chiedere se non vada, clamorosamente, in collisione su quanto stabilisce la legge sulla privacy per la tutela dei dati riservati e sensibili (idee politiche, religiose, sindacali, comportamenti privati) dei lavoratori.
Infine è conciliabile una sentenza del genere su quanto stabilisce l'art. 4 dello Statuto dei Lavoratori che vieta le forme occulte di controllo a distanza, con l'ausilio di dispositivi informatici e telematici, da parte dei datori di lavoro sui propri dipendenti.
Oltretutto il datore di lavoro può tutelarsi da utilizzi della posta elettronica non coerenti con le attività lavorative disabilitando con appositi filtri la possibilità di inviare e ricevere posta elettronica da molti indirizzi, anche se una mentalità repressiva rispetto all'uso di questi nuovi strumenti non è in linea con una prassi che voglia dare autonomia, fiducia, e punti sull'autoresponsabilizzazione rispetto ai risultati.
La necessità di regolamentare i diritti alla privacy, nell'utilizzo di questi strumenti di comunicazione aziendale, è stata messa in evidenza in più occasione dall'Autority di Stefano Rodotà che ha invocato, più che nuove leggi, accordi tra le parti socilali, aziende e sindacati, che regolino l'utilizzo della posta elettronica.
Senza dimenticare che sempre più nelle aziende si diffondono sistemi di messaggeria, vere e proprie "chat aziendali" che possono soffrire di un occhiuto e non disinteressato controllo dei datori di lavoro.
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