Si può definire pirata chi paga regolarmente per i contenuti?
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 10-03-2014]
È una vicenda che potrebbe anche far sorridere se di mezzo non ci fosse la possibilità (fortunatamente, a quanto pare, remota) di qualche intervento legale quella che coinvolge oltre 200.000 australiani.
L'Australia è un Paese in cui la pirateria via Internet è piuttosto diffusa, ma c'è una attenuante: i servizi che offrono legalmente i contenuti sono pochi, hanno costi elevati e cataloghi ristretti.
I film e le serie televisive più apprezzati - e made in US - non si trovano via Internet, anche a causa del fatto che i produttori statunitensi hanno degli accordi esclusivi di distribuzione con News Corp, che li trasmette in televisione.
In questo panorama si registra inoltre l'assenza di Netflix, il popolare servizio che offre legalmente contenuti in streaming ma che in diversi Paesi non è disponibile.
Che cosa fanno quindi gli australiani che non vogliono aspettare per gustarsi le proprie serie televisive e allo stesso tempo? In buona parte non si danno alla pirateria pura e semplice ma, sfruttando un collegamento VPN, aggirano il blocco geografico imposto a Netflix e riescono così a usufruire del servizio; pagandolo come tutti gli altri, ovviamente.
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Netflix si trova quindi nell'imbarazzante situazione per cui ha 200.000 clienti paganti che non dovrebbe avere, poiché arrivano da un Paese in cui esso non è disponibile.
Ciò ovviamente scontenta innanzitutto i fornitori di servizi in streaming australiani, i quali fanno leva sulle licenze possedute da Netflix: sostengono che sono valide per gli USA, non per l'Australia; quindi gli utenti australiani sono tutti pirati.
Per contro, però, il procuratore generale Robert McClelland già nel 2011 aveva dichiarato che l'utilizzo di servizi come Netflix o Hulu tramite VPN non viola la legge australiana sul copyright.
La soluzione ideale, e forse l'unica che potrebbe funzionare davvero, sarebbe l'estensione dei servizi di Netflix all'Australia.
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