E adesso fa causa all'azienda che non gliel'ha voluto vendere.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 07-04-2020]
Lo scorso ottobre tra Facebook e l'azienda israeliana Nso è iniziata una battaglia legale, che per mesi s'è trascinata senza interessanti colpi di scena per poi all'improvviso smascherare di colpo la fama di trasparenza che i dirigenti del social network cercano invano di cucire addosso alla creatura di Mark Zuckerberg.
L'origine della contesa riguarda un particolare prodotto di Nso: lo spyware Pegasus, che l'azienda concede in licenza solo ai governi e che, stando alle accuse di Facebook, è stato usato per spiare le conversazioni WhatsApp di centinaia di attivisti per i diritti umani, giornalisti e altre figure "scomode".
Se la vicenda fosse tutta qui, Facebook apparirebbe come la paladina dei diritti: Pegasus, a quanto pare, è davvero efficace come strumento di spionaggio (sembra addirittura che sia stato usato per curiosare tra le chat di Jeff Bezos, il fondatore di Amazon) e, nelle mani sbagliate (anche se sono quelle di qualche governo), può portare a conseguenze infauste per la vita di molte persone.
In questi giorni, però, quest'immagine da paladini della verità e della trasparenza è venuta meno. Shalev Hulio, Ceo di Nso, ha dichiarato in tribunale che nel 2017 era Facebook stessa a voler acquistare una licenza per Pegasus.
Perché mai Facebook voleva uno spyware? Intendeva integrarlo nel proprio servizio di Vpn Onavo (chiuso nel 2019) e adoperarlo per ottenere dati accurati circa gli utenti di iPhone e iPad: gli sviluppatori di Onavo avevano infatti scoperto che accedere alle informazioni degli utenti sotto iOS era più difficile che sotto Android, e così avevano pensato di chiedere un aiuto a quel software israeliano che funzionava tanto bene.
Beninteso, anche senza Pegasus Onavo riusciva a compiere in modo egregio il proprio lavoro: è stata proprio l'abbondante raccolta di dati personali che ha portato alla sua rimozione sia dall'App Store di Apple che dal Play Store di Google, e alla successiva chiusura dell'intero progetto.
Ad ogni modo, quando Facebook si rivolse a Nso questa rispose picche: Facebook - ha spiegato Hulio - «è un'azienda privata, non un governo sovrano né un'agenzia governativa che si occupi di sicurezza nazionale o di far rispettare la legge, e pertanto non corrisponde ai criteri che Nso stabilisce per i propri clienti».
Evidentemente Facebook deve essersela legata al dito e alla prima occasione ha provato ad affondare Nso, sperando che questa si fosse nel frattempo dimenticata di quella brutta faccenda.
Intendiamoci, il social network avrà anche fatto bene a far sapere al mondo che la compromissione della privacy di tanti giornalisti e attivisti è da attribuire a un unico soggetto ma, alla luce di quanto è venuto ora a galla, la mossa assume un sapore decisamente ipocrita.
Per ora una risposta ufficiale in tribunale alle controaccuse di Nso non è stata formulata. Il social network ha però già dichiarato che le affermazioni di Hulio in sede processuale sono soltanto un tentativo di «distogliere l'attenzione dai fatti» e che contengono «una rappresentazione inaccurata sia dello spyware che delle discussioni avvenute con i dipendenti di Facebook».
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