[ZEUS News - www.zeusnews.it - 16-04-2024]
Siamo nell'estate nel 1973, alla University of Southern California, dove un ricercatore in campo informatico sta cercando un'immagine da usare come riferimento per i suoi test di digitalizzazione. Roba assolutamente sperimentale per l'epoca. Per la conferenza tecnica che sta preparando gli serve un'immagine su carta patinata che includa un volto umano da scansionare. Guarda caso, arriva qualcuno con una copia di Playboy.
Viene strappata la parte superiore del paginone centrale della rivista, che raffigura una giovane donna che indossa solo un cappello e una piuma viola, nello stile tipico di Playboy , e ne viene fatta la scansione con i metodi primitivi di allora: lo scanner è uno di quelli per le telefoto, quelli che richiedono che l'immagine venga montata su un cilindro rotante, e la scansione viene fatta nei tre colori primari, a una risoluzione di 100 linee per pollice, pochissimo per gli standard di oggi. I dati risultanti vengono poi elaborati con un minicomputer Hewlett Packard 2100. Questo procedimento complicato produce un'immagine da soli 512x512 pixel, che oggi fa sorridere ma che per l'epoca è un risultato davvero notevole.
Il ricercatore sceglie solo la porzione dell'immagine che include le spalle nude e il volto della donna, perché questa porzione ha un contrasto elevato e una notevole ricchezza di dettagli che la rendono ideale per i test dei sistemi di elaborazione delle immagini. O perlomeno è questa la giustificazione ufficiale per l'uso del volto di una Playmate in un mondo quasi esclusivamente maschile come quello dell'informatica degli anni Settanta.
Sia come sia, la soluzione improvvisata piace e diventa popolare, per cui altri ricercatori iniziano a usare questa foto come campione di riferimento per valutare i propri programmi di compressione ed elaborazione delle immagini. In breve tempo quella fotografia di Playboy diventerà lo standard tecnico di tutto il campo nascente della fotografia digitale e verrà pubblicata in moltissimi articoli tecnici nelle riviste di settore nei decenni successivi. Sarà ancora in uso quasi quarant'anni dopo, nel 2012, quando un gruppo di ricercatori di Singapore dimostrerà di essere capace di stampare a colori immagini microscopiche, larghe come un capello [50 micrometri, ossia 5 centesimi di millimetro] e userà proprio questa foto come dimostrazione.
Se oggi abbiamo GIF, JPEG, PNG e tanti altri formati per la trasmissione di immagini lo dobbiamo anche a quest'improvvisazione californiana, fatta oltretutto in violazione del copyright e poi accettata di buon grado, una volta tanto, dall'editore della rivista, che di solito è severissimo.
Ma chi è la ragazza in questione? È nota fra i ricercatori semplicemente come "Lena" o "Lenna", ma la rivista dalla quale fu prelevata la sua immagine la presentò come Lenna Sjööblom, Playmate di novembre 1972. Il suo vero nome è Lena [una N sola] Forsén, e all'epoca lavorava come modella.
Non capita spesso che una foto di una Playmate diventi uno standard tecnico, ma è andata così. Tuttavia le sensibilità sono cambiate rispetto a mezzo secolo fa e in effetti questa foto ha contribuito allo stereotipo della donna oggetto in un campo nel quale le donne, pur avendo fatto la storia dell'informatica, non venivano ben viste come colleghe dagli informatici di sesso maschile. Inoltre l'associazione con il marchio Playboy strideva in un ambiente accademico.
E così le riviste del prestigioso gruppo Nature hanno iniziato a rifiutarla già nel 2018. E la IEEE Computer Society, una delle associazioni più famose e influenti del settore a livello mondiale, ha annunciato pochi giorni fa che dal primo aprile 2024 non accetta più articoli scientifici che usino questa fotografia. La foto verrà rimpiazzata da altre immagini standard già in uso, chiamate Cameraman, Mandril o Peppers [esempio], ma se vi capita di consultare qualche articolo d'informatica d'epoca e vi chiedete chi sia la graziosa fanciulla che spicca nelle pagine piene di grafici e tabelle, ora sapete chi è e conoscete la sua strana storia.
Fonti aggiuntive: Wikipedia, Ars Technica.
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