Al di là della vicenda degli ispettori del lavoro, rimane aperta la questione del rispetto dei diritti sindacali.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 24-08-2006]
Atesia è la più grande azienda di servizi di call center in Italia, parte di un gruppo (Almaviva, già gruppo Cos) che ha acquistato Finsiel e gestisce i servizi di call center di Telecom Italia e Tim, Wind, Alitalia, Barilla. Questo fa di Atesia un'azienda emblematica per questo tipo di attività, un po' come la Fiat lo è stata per l'industria metalmeccanica.
Gli ispettori del Ministero del Lavoro, dopo una lunga e approfondita ispezione, hanno rilevato l'utilizzo anomalo dei contratti a progetto, invece del rapporto di lavoro dipendente; questa vicenda può costituire un precedente per tutta l'industria dei call center italiani.
In questo momento le forze politiche e sindacali si stanno dividendo in due fronti: quello più radicale (formato dalla Cgil, dai sindacati autonomi come Cobas, Flmu, Snater e partiti politici come Rifondazione) sostiene che tutto il lavoro nei call center debba essere di carattere subordinato e tendenzialmente stabile, cioè a tempo indeterminato, e vuole approfittare della vicenda Atesia per mettere in discussione la stessa legge Biagi, che flessibilizza ulteriormente il lavoro, sulla scia del pacchetto Treu.
Quello che non si può accettare è però il ricatto che comincia a essere introdotto da alcuni imprenditori dei call center, la cui filosofia è più o meno: se ci costringono ad assumere e a pagare di più, andremo a portare i nostri call center all'estero, in Romania o in Albania.
Negli Usa, dove la delocalizzazione dei call center (ma anche di tante altre attività manifatturiere e di servizi) verso i Paesi del terzo Mondo è iniziata da tempo, distruggendo milioni di posti di lavoro anche in attività qualificate, la reazione è stata molto dura: perfino conservatori come Bush hanno proposto leggi che penalizzino chi porta all'estero la produzione e ci sono state campagne di opinione pubblica molto violente per il boicottaggio dei prodotti e dei servizi di aziende che aveva traferito il call center all'estero.
Una cosa non dovrebbe invece distinguere i diversi approcci alla flessibilità nei call center: il rispetto per i diritti sindacali degli operatori, dal diritto di sciopero a quello di assemblea, associazione e critica. Risulta invece che in Atesia siano stati licenziati (o meglio, non confermati) alcuni militanti sindacali di organizzazioni non confederali per aver indetto un'assemblea non retribuita o aver stampato un foglio di informazione critico verso i dirigenti.
Cosa ancor più grave, tutto questo è avvenuto senza che le organizzazioni confederali abbiano condannato gli episodi. Per Atesia le motivazioni delle non conferme non sono nell'attività sindacale svolta; tuttavia il clima di intimidazione, avvertito da molti operatori, è forte e reale.
Chi crede nel metodo contrattuale dovrebbe essere il più sensibile alle forme di discriminazione antisindacale, anche se in questo e altri casi si sente la carenza di una legge sulla rappresentanza sindacale che fissi regole chiare su chi e in che modo deve siglare accordi che valgano per tutti i lavoratori di un'impresa, anche quelli non iscritti al sindacato.
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