Craccare VoIP è stato uno scherzo

Lo afferma un ventitreenne che è entrato nei sistemi dei provider VoIP facendo un mucchio di soldi. Condannato a due anni di galera, non è per niente pentito.



[ZEUS News - www.zeusnews.it - 10-10-2007]

rb

Si accavallano le notizie non solo sull'azione di virus e spyware, ma anche sulla diffusione dei dati personali a scopo commerciale. All'idea che ne siano in qualche modo responsabili i giganti tra i motori di ricerca ne siamo consapevoli e tutto sommato ne accettiamo le conseguenze; restiamo sempre stupiti e amareggiati quando scopriamo che la negligenza degli operatori di sistema può ancora giocare un ruolo determinante.

In un'intervista rilasciata a un periodico di informatica, il cracker ventitreenne Robert Moore spiega come ha fatto i soldi entrando nel sistema dei service provider di Voice over Ip.

La condanna a due anni di reclusione per frode informatica non sembra pesare più di tanto a questo giovanissimo appassionato; e tutto sommato la sua soddisfazione appare comprensibile, se non scusabile, se si pensa che a farne le spese sono stati giganti del calibro di Cisco o AT&T che tutti immaginiamo supercorazzati contro le intrusioni.

Invece un quindicina di fornitori di servizi e milioni di utenze (AT&T lamenta la scansione di oltre 6 milioni di suoi clienti) sono stati il bottino di due anni di attività di Moore, che tuttavia pare non abbia agito da solo: risulta ancora latitante un certo Edwin Pena, ritenuto la mente dell'operazione.

Al danno si aggiunge lo sberleffo irriverente: "Persino un cavernicolo avrebbe potuto farlo" ha spiegato il cracker; "sarebbe una sorpresa verificare quanti sistemi e quanti computer sono totalmente privi di un'adeguata protezione".

L'avvocato Erez Libermann, assistente della pubblica accusa, spiega che vennero vendute oltre 170 mila ore di conversazione a prezzi scontati da parte una impresa fasulla gestita dal Pena, mentre le chiamate venivano instradate e i relativi costi addebitati alle imprese legittime proprietarie dei numeri telefonici impegnati.

Violando la tradizionale trasperenza processuale di matrice anglosassone, i nomi delle compagnie vittime della truffa compaiono negli atti processuali soltanto con degli pseudonimi, e se ne capisce bene il perché; secondo Moore circa una metà dei server VoIP non era sicura, mentre la percentuale di insicurezze delle utenze professionali raggiungeva punte del 70%.

In particolare, i sistemi dei grossi calibri pare fossero i meno sicuri, in quanto per l'accesso erano state mantenute le password di default, del tipo adminin o Cisc0, cose ben note a tutti gli addetti ai lavori; inoltre oltre l'85% dei router appariva configurati malamente.

"Altro grosso nome craccato è stato Mera, un web server addetto allo smistamento delle chiamate telefoniche; una volta scoperta la password, il data base di tutti gli utenti era a nostra disposizione" ha confidato Moore.

Per quel che riguarda la nostra realtà quotidiana in cui allignano migliaia di intercettatori più o meno abusivi, possiamo solo fare gli scongiuri e continuare a controllare bollette telefoniche ed estratti bancari.

Quanto ai contenuti delle comunicazioni personali, meglio recarsi in un bosco a mezzanotte e parlare a bassa voce; di questi tempi, anche i passeri hanno occhi e orecchie.

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