Mentre anche la Rete è sommersa dalle immagini incredibili, che superano qualsiasi film di fantascienza o fantapolitica, di Manhattan avvolta nel fumo, pubblichiamo ugualmente la recensione di un libro scritto da un osservatore privilegiato della New Economy: si parla degli Usa con spirito critico ma con rispetto e attenzione, perché lì è nata la Rete, perchè lì nasce il nostro Futuro: non possiamo accettare che tale futuro sia solo macerie, fumo e paura.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 11-09-2001]
L'attenzione dell'opinione pubblica in questo momento è calamitata dagli avvenimenti che stanno funestando gli Usa: una terribile catena, mai vista, di attentati terroristici, con gravissime perdite umane, che colpiscono al cuore gli Usa, il loro simbolo che è il centro di New York. Questi avvenimenti non potevano non avere immediate ripercussione sulle Borse, a cominciare da Wall Street.
Le Borse già nei giorni scorsi avevano sofferto di un forte calo dei titoli, in particolare quelli high-tech e della cosidetta New Economy, segno di una stasi dell'economia Usa e, forse, di un'incipiente recessione. Il sogno di una crescita economica continua, senza limiti e blocchi, con la piena occupazione e l'attivo del bilancio pubblico, sembrerebbe andare in frantumi.
La crisi politica, l'effetto di inquietudine che induce la vicenda degli attacchi terroristici contribuisce a spegnere l'entusiasmo e l'ottimismo che hanno caratterizzato gli ultimi anni del secolo scorso, con la nascita e il boom della New Economy.
Rampini demistifica alcuni miti sulla straordinaria fase di espansione che hanno vissuto gli Usa: per esempio, quello sul merito unico e assoluto del libero mercato e dell'iniziativa privata. Dietro lo straordinario sviluppo scientifico e tecnologico in campo informatico e telematico, ci sono stati gli sforzi, gli interessi e i fortissimi investimenti in spesa militare del Governo Usa.
Dietro Standford e le altre Università, motori dello straordinario sviluppo della New Economy, ci sono (grazie ad un'intelligente e mirata politica fiscale) gli ingenti contributi delle imprese Usa; in Italia, invece, secondo un economista non di sinistra come Paolo Savona, abbiamo un ceto medio qualunquista che preferisce finanziare le squadre di calcio anzichè la formazione e la ricerca.
Sono proprio gli investimenti in formazione e ricerca, più che la flessibilità e la mobilità del mercato del lavoro (altro luogo comune da sfatare) a fare la differenza fra Usa ed Europa e a spiegare il gap nelle tecnologie informatiche e telematiche.
Questo non impedisce a Rampini di mettere il dito nella piaga delle conseguenze di molti anni di politica liberista che oggi, sempre meno, vengono accettate dalla stessa opinione pubblica Usa: le gravi carenze nella sanità, nelle infrastrutture stradali e del trasporto, nell'energia elettrica; i frequenti black-out di quest'ultima, causati dalla liberalizzazione, mettono in crisi la stesse aziende della New Economy.
Rampini ci aiuta a capire che gli Usa sono caratterizzati da una forte dialettica sociale e politica: viene ricordata la legge Clinton sulla sicurezza del lavoro, che proibiva il lavoro al videoterminale per più di 4 ore al giorno. Una legge più avanzata della stessa legislazione europea che, prontamente, Bush ha abolito all'inizio del suo mandato.
Rampini si sofferma sui conflitti, particolarmente duri, presenti anche nelle società high-tech fra imprenditori e sindacati; soprattutto, Rampini sottolinea come il conflitto sociale si vada spostando da quello tradizionale "capitale-lavoro" a quello "imprese-consumatori", mettendo al centro la qualità dei prodotti e della vita, la salute e lo sviluppo sostenibile e compatibile con l'ambiente.
Un bel capitolo è quello dedicato al rapporto tra Internet e informazione, con i suoi rischi e i vantaggi: la crescita della libertà di informare ed informarsi, la concentrazione in poche mani della comunicazione on line, il rischio di appattirsi sul gusto e l'opinione media del pubblico.
Rampini è ottimista: per lui la crisi della New Economy è una crisi di crescita, come quando, all'inizio del secolo, molte imprese ferroviarie e automobilistiche sono fallite prima del boom dell'automobile e del trasporto; vi è stato un processo di selezione. Non importa se i listini oggi crollano, dopo essere cresciuti vertiginosamente: la New Economy è un fatto irreversibile, che ha trasformato completamente il nostro modo di produrre, di pensare e di vivere.
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