Secondo uno studio più si tagga il partner più la relazione diventa romantica: usare il social network fa bene al rapporto di coppia.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 30-04-2013]
Più di una volta negli ultimi anni Facebook è stato accusato di fare male alla vita di coppia, diventando la causa di scenate per gelosia; ora, però, uno studio americano non solo scagiona il social network, ma afferma che possa fare del bene.
La ricerca in questione è stata condotta dal professor Christopher Carpenter della Western Illinois University intervistando diversi utenti di Facebook e traendo informazioni dai loro profili.
A quanto pare, le persone che più frequentemente adoperano Facebook insieme al partner e lo taggano sono anche quelle che hanno relazioni più romantiche; di contro, minori interazioni sul social network portano a una minore vicinanza.
Facebook può, insomma, fare sia bene che male alle relazioni: «Se qualcuno vede il proprio partner interagire con altri su Facebook, diventa geloso» spiega il professor Carpenter. «Ma se tagga il proprio partner regolarmente allora non diventa geloso delle interazioni di quest'ultimo con gli altri».
In sostanza, il sito «può aiutare le persone a diventare più vicine» permettendo loro di «prendersi in piccole dosi» e avvicinarsi quindi un po' alla volta.
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Christopher Carpenter ha notato anche un'altra particolarità: più erano numerose le relazioni passate avute dai partecipanti allo studio, più erano numerosi anche gli interessi da questi elencati nei loro profili su Facebook.
Il motivo, secondo il professore, è che anche dopo la fine di una relazione qualcosa del partner resta: «possiamo non vedere più quella persona, ma quando sviluppiamo una relazione con qualcuno ne assumiamo alcuni interessi e tratti e, in molti casi, li manteniamo a lungo dopo la rottura» ha commentato Carpenter, il quale è arrivato a chiedersi se si taglino mai per davvero i ponti con qualcuno.
Le informazioni avute finora si basano su quanto dichiarato dal professore alla stampa; lo studio completo verrà pubblicato nel numero di luglio di Computers in Human Behavior.
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