Sei anni dopo lo scoppio della bolla della new economy, le vendite online di beni di consumo durevoli deludono anche i più pessimisti. Il sistema basato sui centri commerciali tiene i consumatori sotto scacco.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 26-05-2007]
Un'indagine di GfK Marketing Services Italia rivela che il giro d'affari complessivo del mercato dei beni durevoli, nel nostro paese, nel 2006 è stato 523 milioni di euro su un totale di 18 miliardi, pari al 2,9%. Meno della metà della media dei paesi esaminati, meno di un terzo rispetto al "top spender", la Repubblica Ceca. Tra i dieci paesi presi in esame, precediamo solo l'inspiegabile Spagna.
Eppure il commercio online era una delle promesse della new economy, quella cosa che, fino alla metà del 2001, avrebbe garantito facili guadagni, soprattutto finanziari, a tutti i manager giovani e dinamici del pianeta.
Sono passati sei anni, da allora, e possiamo bearci del nostro bel fatturato: il tre per cento, un risultato che sarebbe stato considerato un fallimento negli anni '80, quando non esisteva l'internet, ma le vendite per corrispondenza erano una solida realtà.
Può sembrare un fatto di costume, ma a ben vedere il successo delle vendite online è più che altro una questione di civiltà. L'acquisto in rete permette, almeno teoricamente, di saltare alcuni passaggi della filiera.
Questo può significare mettere in comunicazione gli anelli più deboli della catena, che in genere sono il produttore (a dire il vero non quando si tratta di beni durevoli) e l'utente finale.
E' logico che questa pratica sia ostacolata dalla grande distribuzione organizzata. A questi signori fa comodo che ciascuno di noi sia costretto a frequentare i centri commerciali, a entrare in contatto con le sirene di Ulisse, riempire il carrello di cose non necessarie (ma in offerta speciale), e a rimanere in una sorta di dipendenza dall'acquisto materiale.
Ovviamente, questi tentativi di dissuasione vengono attuati anche in Repubblica Ceca, Germania, Regno Unito, Francia, Svizzera e Olanda, i paesi che ci precedono in questa classifica, ma lì fanno evidentemente meno presa. Non è un buon auspicio, soprattutto per chi nella rete ha visto lo strumento per eliminare i passaggi inutili, aumentare la trasparenza e impedire i traffici transcontinentali, così costosi energeticamente e iniqui socialmente, che caratterizzano il commercio internazionale.
Che l'e-commerce sia spesso una pagliacciata, lo denunciammo quasi quattro anni fa, parlando del servizio buy@fiat, il negozio virtuale che ti mandava dal concessionario. Ma nemmeno allora credevamo che i passi avanti nel settore sarebbero stati così pochi come dimostra l'indagine Gfk.
La vendita online marcia a passo spedito in contesti dove i consumatori sono meno sensibili alla pubblicità e dove la fiducia nel sistema commerciale e dei pagamenti è più elevata, ma non in Italia, il paese dei centri commerciali. Questione di civiltà, appunto.
Se questo articolo ti è piaciuto e vuoi rimanere sempre informato con Zeus News
ti consigliamo di iscriverti alla Newsletter gratuita.
Inoltre puoi consigliare l'articolo utilizzando uno dei pulsanti qui
sotto, inserire un commento
(anche anonimo)
o segnalare un refuso.
© RIPRODUZIONE RISERVATA |
|
|
||
|