Dare la caccia alle bufale è inutile, secondo uno studio

Sarà, ma continuerò a farlo.



[ZEUS News - www.zeusnews.it - 30-10-2015]

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Fare debunking, ossia sbufalare pubblicamente le notizie false, sarebbe inutile e forse addirittura controproducente, perché chi è incantato dalle bufale non ne vuol sapere di cambiare idea e quindi il debunking non converte nessuno ma semmai esaspera e polarizza ulteriormente i punti di vista.

Questa, in estrema sintesi, è l'amara, disperante conclusione di una ricerca in buona parte italiana pubblicata recentemente e intitolata Debunking in a World of Tribes, a cura di Fabiana Zollo, Alessandro Bessi, Michela Del Vicario, Antonio Scala, Guido Caldarelli, Louis Shekhtman, Shlomo Havlin e Walter Quattrociocchi (IMT Alti Studi, Lucca; IUSS, Pavia; ISC-CNR, Roma; 4LIMS, Londra; Bar-Ilan University, Israele).

Se ne parla molto in Rete e in parecchi mi avete chiesto cosa ne penso, specialmente dopo che ho condiviso il palco della Festa della Rete a Rimini (video) proprio discutendone con Quattrociocchi, coordinatore del laboratorio che ha svolto la ricerca, per cui scrivo queste righe per rispondervi e per creare uno spazio di discussione tramite i commenti.

Non entro nel merito dei dettagli metodologici della ricerca perché non sono competente in questo campo: li presumo validi fino a prova contraria. Però mi vengono alcuni pensieri quando guardo il campione usato per la ricerca, ossia circa 54 milioni di utenti Facebook statunitensi, sottoposti ad analisi quantitativa, e "la risposta dei consumatori di storie complottiste a 47.780 post di debunking".

Il primo pensiero è che Facebook non è il mondo reale. È una sua versione distorta, filtrata, nella quale si fa notare chi strilla di più, chi ha più tempo da perdere e chi vuole mettersi in mostra. Non mi sorprende, quindi, che la ricerca documenti che chi è complottista su Facebook tende a restare complottista anche dopo essere stato esposto a contenuti di debunking.

Lo vedo quasi quotidianamente nelle discussioni fra complottisti (di qualunque genere, da quelli che credono che l'11 settembre fu un autoattentato a quelli che sostengono l'esistenza degli uomini lucertola che governano segretamente il mondo) e non complottisti. Lo vedo in particolare proprio sui social network, che sono un pessimo ambiente per discussioni serie: troppo dispersivi e predisposti ad alimentare tifoserie (tramite i like e simili), battibecchi, esibizionismi e attacchi personali.

Capisco che per i ricercatori non ci sia una risorsa statistica migliore di Facebook, ma mi chiedo se usare Facebook per vedere chi si converte dal complottismo sia un po' come andare allo stadio durante un derby per vedere chi cambia squadra del cuore.

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Il silenzio della maggioranza

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Paolo Attivissimo

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