Riso più povero di proteine e vitamine: colpa della troppa CO2 nell'atmosfera

Calano anche ferro e zinco.



[ZEUS News - www.zeusnews.it - 01-06-2018]

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Si sente parlare spesso di emissioni di CO2, di come sia importante controllarle e di come un loro eccessivo aumento sia dannoso per l'ambiente e la vita.

La maggioranza delle persone, però, non sa dire quali siano le reali conseguenze della crescita della concentrazione di anidride carbonica nell'atmosfera.

Lo studio realizzato da un gruppo internazionale di ricercatori ci mostra ora un effetto tangibile di quel fenomeno: un calo dei nutrienti nel riso.

La ricerca, pubblicata su Science Advances, ha preso in considerazione 18 varietà comuni di riso cresciute in Cina e in Giappone, scoprendo come all'aumentare della CO2 decresca il contenuto di vitamine del gruppo B, tutte importanti per la trasformazione del cibo in energia che avviene all'interno del nostro corpo.

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In particolare, se si raggiungeranno i livelli di biossido di carbonio previsti per la fine di questo secolo, il calo nel contenuto di vitamine sarà decisamente sensibile: la B1 e la B2 caleranno del 17%, la B5 del 13% e la B9 del 30%. Non solo: le proteine presenti nel riso diminuiranno del 10%, il contenuto di ferro calerà dell'8% e quello di zinco del 5%.

«La gente» - commenta Lewis Ziska, uno dei ricercatori - «dice che in fondo un aumento di CO2 significa che c'è più cibo per le piante, ed è vero. Ma il modo in cui le piante reagiscono a questo improvviso aumento di cibo ha conseguenze anche sulla salute umana, dai deficit nutritivi all'etnofarmacologia alle allergie stagionali ai pollini, in modi che ancora non capiamo».

Se un eccessi di biossido di carbonio rende più "povero" il riso, le conseguenze diventano evidenti su quella gran parte della popolazione che proprio nel riso trova il proprio principale sostegno alimentare: milioni di persone potrebbero iniziare a soffrire degli effetti di un'alimentazione insufficiente.

«È uno dei rischi del bruciare combustibili fossili e della deforestazione che non viene considerato» conclude Kristie Ebi, co-autrice dello studio.

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