Contro il paternalismo della medicina, un approccio hacker alla lotta contro il cancro. Trasparenza e concetti alla portata di tutti, via internet.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 14-01-2005]
Alexander Horwin aveva due anni, nel 1999. La diagnosi era stata infausta fin da subito: tumore al cervello. Ma i suoi genitori Michael e Rafaele non avevano perso le speranze. Un nuovo tipo di chemioterapia, una nuova, labile speranza. Certo, c'era una carrettata di rischi collaterali, tra cui infezioni, danni al cuore, ai polmoni, sordità, sterilità, solo per nominarne alcuni. Ma i medici la consigliavano fortemente, era l'opzione migliore.
Così acconsentirono al trattamento. Non ebbero nemmeno il tempo di rendersi conto di quello che stava accadendo: il tumore si sviluppò con una velocità inattesa su tutto il corpo, e il piccolo morì quattro mesi dopo. Per chi volesse approfondire la storia, ecco un altro link.
La morte, quasi sicuramente, sarebbe arrivata in ogni caso. Ma gli Horwin si stupirono nell'apprendere, solo tempo dopo, dell'esistenza di alcuni studi clinici. Essi mostravano che la stessa chemioterapia di Alexander aveva accelerato la morte di centinaia di altri bambini, della stessa età e con lo stesso tipo di patologia.
Ai malati di cancro sono spesso prescritti farmaci di cui non sanno niente, e per essi fare ricerche su rischi e benefici può essere impervio, se non impossibile. L'iniziativa colma questo buco: "Non facciamo altro" dice Michael Horwin,"che prendere la letteratura medica e tradurla in una lingua che un paziente di cancro può capire. Così può valutare una cura proposta su reali risultati clinici."
Gli Horwin non sono medici, ma il loro approccio scientifico, e gli esperti da cui traggono le informazioni, permettono di assicurare l'esattezza delle loro traduzioni, complete di link agli abstracts degli studi originali. Il sito è veramente notevole, e appare come uno strumento utilissimo per chi si dibatte tra sete di conoscenza e paura della verità. Gli autori dimostrano pienamente di avere entrambe le doti dell'hackumer: competenza e generosità.
L'argomento è delicato. È innegabile che la trasparenza non sia la miglior virtù dei medici, soprattutto di quelli che si occupano di malattie gravi. Certo, hanno le loro buone ragioni, la psicologia è spesso un elemento determinante della riuscita di una cura, e loro intendono giocare quella carta fino in fondo. Per questo dosano le informazioni, a fin di bene, a loro piacimento.
Talvolta, se ritenuti in grado, i parenti più prossimi vengono coinvolti in questo gioco, diventando complici della terapia della menzogna (sono crudo, ma di questo si tratta).
Si può discutere per anni senza trovare un accordo. Da un lato ci sono i tecnocrati paternalisti, che sostengono che solo i medici hanno abbastanza competenze per valutare i pro ed i contro dei trattamenti. Dall'altro ci sono quelli che sostengono che l'informazione adeguata è un diritto sacro e dovuto, aldilà delle possibili conseguenze.
Quest'ultima, volenti o nolenti, è un'impostazione hacker: l'individuo vuole conoscere e intervenire sulla terapia (la macchina), anche se non è affatto detto che le cose miglioreranno dopo il suo intervento. Anche se è in gioco la sua stessa vita.
Tutto quanto detto finora parte dal necessario presupposto della buona fede del medico. Ma se seguiamo il detto secondo cui "a pensar male si fa peccato, ma spesso ci s'azzecca", si aprono scenari impressionanti. Eppure è una prospettiva niente affatto improbabile: conoscenza è potere, e caricare una sola persona di questo potere può essere una mossa vincente, se il medico può reggere l'enorme responsabilità. Ma se non ce la fa, se è debole (o peggio, disonesto) e reattivo alle pressioni degli informatori delle farmindustrie, allora siamo nel campo del delitto.
Le terapie in questione sono spesso sperimentali, e, nell'interesse superiore della ricerca, talvolta c'è bisogno della cosiddetta prova in bianco, quella senza farmaci o con farmaci farlocchi.
Inoltre, molte case farmaceutiche sono solite fare ingenti investimenti in informazione (magari condita di gadget, perché no?) per promuovere prodotti, magari scadenti, ad alto margine. La letteratura sulle malefatte delle aziende farmaceutiche è sterminata: ci limitiamo a linkare un sito e un fatto di cronaca.
Chi tutela il paziente da una simile eventualità? Nient'altro che l'approccio hacker, e l'accesso ad un'informazione semplice e corretta. Ben vengano i siti come quello degli Horwin, dunque, e speriamo che qualche progetto si occupi della sua traduzione in italiano.
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