Che fine hanno fatto i soldi del Patto di Sanremo?

L'accordo dello scorso marzo non è stato solo inutile e scopiazzato. C'è anche una montagna di soldi pubblici di cui chiedere conto. Il silenzio degli addetti ai lavori.



[ZEUS News - www.zeusnews.it - 21-11-2005]

Mazzetta di denaro

Del ridicolo Patto di Sanremo abbiamo già parlato, della sua vacuità, della sua parzialità, del plagio perpetrato ai danni di un'iziativa pubblica come "Scarichiamoli!". Oggi, ad alcuni mesi di distanza, se ne riparla in un'intervista, proprio sul sito scarichiamoli.org, a Paolo Martinello.

Il presidente di Altroconsumo parla dei motivi per cui la sua associazione non ha aderito al patto, troppo palesemente spalmato sulla posizione delle major, dei pericoli della DRM, e del portale istituzionale "Internet Culturale", costato agli italiani qualcosa come 37 milioni di euro.

Uno dei risultati di quello splendido esempio di concertazione unilaterale, è stato lo stanziamento di 37,3 milioni di euro, 7,1 da parte del Comitato dei Ministri per la Società dell'Informazione, e 30,2 provenienti dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Il tutto per costruire un metamotore di ricerca di opere di pubblico dominio.

"Ogni volta che vengono stanziati ingenti somme di denaro pubblico," sostiene Paolo Martinello, "dovrebbe essere fatta una seria analisi dei costi e benefici e soprattutto delle alternative possibili. Vi sono, infatti, iniziative analoghe che nascono dal privato."

"Perché un finanziamento milionario," si chiede Nicola Grossi, di scarichiamoli.org, "per una scatola vuota? E perché servizi pubblici, davvero utili per la libera circolazione della cultura, non ricevono dallo Stato i pochi fondi sufficienti per il loro funzionamento?"

"La rete pullula di motori e metamotori di ricerca: se, ad esempio, si desidera leggere opere letterarie in pubblico dominio, ha poco senso andare su Internet Culturale per poi essere indirizzati sul sito di Liber Liber," continua Grossi, "è meglio andarci direttamente".

Altre realtà potenzialmente efficaci, invece, rantolano nell'assenza di fondi, come gli archivi musicali di ITC-irst e del Dipartimento di Informatica e Telecomunicazioni dell'Università di Trento. "Purtroppo i ricercatori non dispongono di denaro sufficiente per garantire un servizio minimo: la banda è poca, il download è lento e sono costretti a espedienti per limitare l'accesso ai potenziali fruitori," scrive Grossi.

Questo è il Patto di Sanremo: non solo un accordo pomposo e schierato a favore degli interessi dei potenti, non solo parole in libertà, peraltro neppure farina del loro sacco. Ci sono anche un bel po' di soldini pubblici, di cui chiedere conto.

Ancora Grossi: "Mi auguro che, prima o poi, qualche politico (magari uno dei difensori della libera condivisione dei saperi), qualche giornalista, qualche rappresentante del mondo free, si domandino: come sono stati spesi tutti quei soldi? Potevano essere spesi meglio? Cosa impedisce allo Stato di liberare veramente le opere di pubblico dominio?."

"Evidentemente," conclude Grossi, "quattro ricercatori sono una parte di elettorato troppo piccola per poter essere presa in considerazione dalla politica, e le antologie di musica classica vendute in TV, in edicola, in Internet sono un business troppo grande per poter essere messo in crisi dall'informazione professionale."

Ma politici, web writers e guru dell'informatica libera, non sono gli unici responsabili dell'imbarazzante silenzio sull'argomento: "Mi aspetto che Beppe Grillo ne parli come si conviene," è l'opinione di un altro membro di scarichiamoli.org, Danilo Moi.

"Spararle grosse su skype, sulle magnifiche sorti e progressive della democrazia digitale e sui parlamenti puliti, ha pochi effetti pratici. Un uomo come lui potrebbe dare a questo problema la visibilità che merita, e ottenere risultati concreti."

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