Facebook pensava di finanziarsi vendendo i dati degli utenti

Lo rivela una email interna.



[ZEUS News - www.zeusnews.it - 03-12-2018]

facebook vendita dati utenti

Che l'affermazione di Mark Zuckerberg secondo la quale Facebook non avrebbe mai nemmeno pensato di lucrare sui dati degli utenti fosse, al massimo della benevolenza, una mossa di marketing è cosa ormai evidente.

Dallo scandalo Cambridge Analytica in giù, passando per il famigerato memo interno secondo il quale per il social network «la crescita è tutto» e va perseguita a ogni costo, questo 2018 ormai in chiusura è stato l'anno in cui credere alle rassicurazioni dei dirigenti di Facebook, i quali si sono spesso affannati a ripetere che «l'utente non è un prodotto», è stato più difficile.

Ogni giorno che passa, poi, pare che tale difficoltà non faccia altro che aumentare.

Il più recente chiodo sulla bara della credibilità di Facebook proviene da una email riservata scritta da un anonimo dipendente dell'azienda tra il 2012 e il 2014, confiscata ora dalle autorità britanniche e resa nota dal Wall Street Journal, secondo la quale in quel periodo Facebook avrebbe seriamente preso in considerazione di fare mercimonio dei dati degli utenti.

Per capire i motivi di questa situazione bisogna ritornare con la mente a quegli anni. Facebook era appena approdato in Borsa ma le cose, a dire la verità, non andavano benissimo: gli utili faticavano ad arrivare, e la dirigenza stava iniziando a pensare di dover battere strade alternative per giustificare agli azionisti il loro investimento.

Di qui l'idea: obbligare ogni app che avesse accesso ai dati degli utenti di Facebook a pagare «una quota annuale di almeno 250.000 dollari per mantenere l'accesso ai dati». In caso contrario il rubinetto che garantiva l'arrivo delle informazioni sarebbe stato chiuso.

Il piano era anche più ampio di quello che sembrerebbe da questo solo estratto: l'idea era di monetizzare l'accesso ai dati degli utenti ma anche costringere gli inserzionisti a sborsare denaro sonante per poter mettere le mani su un quantitativo ancora maggiore di informazioni.

È sotto gli occhi di tutti come la stragrande maggioranza degli utenti del social network in blu affidi alle pagine di questo una marea di dati considerabili "sensibili" senza nemmeno pensarci troppo: per chi campa di pubblicità, tale mole di informazioni è una manna per avere la quale ci si potrebbe anche alleggerire di parecchio denaro, certi che ne varrebbe la pena.

Appare quindi proprio falsa la testimonianza resa da Mark Zuckerberg lo scorso aprile davanti al Congresso americano, quando il fondatore di Facebook ha scandito chiaramente: «Non posso essere più chiaro su questo punto: noi non vendiamo dati». Forse alla fine hanno deciso di non farlo, ma certo hanno accarezzato l'idea.

Né si tratta proprio di un segreto. Il Wall Street Journal stesso riporta che un portavoce di Facebook ha confermato il fatto che per un paio d'anni l'ipotesi è rimasta nell'aria, poiché «Stavamo cercando di capire come sviluppare un modello aziendale sostenibile».

Il che potrebbe anche andare bene, se poi non si fingesse di essere scandalizzati al solo sentir parlare dell'idea.

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