L'impresa non innovativa

Intervista a Domenico De Masi sulla capacità di innovazione delle imprese italiane.



[ZEUS News - www.zeusnews.it - 15-03-2003]

Domenico De Masi, Preside della Facoltà di Scienze della Comunicazione dell'Università La Sapienza di Roma, è considerato uno dei maggiori sociologi italiani, tra i più attenti alle trasformazioni del lavoro e dell'impresa.

Per gentile concessione del portale Edipress pubblichiamo questa intervista a Domenico De Masi sulla capacità di innovare delle imprese italiane.

Domanda: Nel suo ultimo libro "Creatività e Concretezza", Lei Prof. De Masi, affronta queste due polarità. Oggi molti affermano che nella vita delle imprese si è ritornati alla concretezza (utili, bilanci in ordine, etc.) dopo una fase fortemente creativa, quella della cosiddetta "new economy" fatta di innovazione, progetti....Cosa ne pensa di questa semplificazione, un po' schematicamente manichea, che viene diffusa dai media?

Domenico De Masi: Non mi pare che la fase di intensa, primitiva new economy sia stata molto concreta. Mi pare che i sogni allucinati vi prevalevano sulla realistica analisi dei limiti e delle prospettive.

Domanda: Anche in un suo recente saggio su Micromega, Lei ha ribadito la centralità della formazione, della ricerca, della diffusione della conoscenza per evitare il rischio di un inesorabile declino economico ed industriale. Le imprese italiane sono coscienti di questo rischio e cosa fanno o cosa non fanno per evitarlo?

Domenico De Masi: Le imprese sono prevalentemente, colpevolmente ignare. Anche quelle manifatturiere hanno bisogno di innovare continuamente i prodotti, i processi produttivi, i sistemi distributivi e di vendita.

Basta guardare la pubblicità televisiva (che pure rappresenta la punta dell'iceberg inventivo) per comprendere quale noiosa, suicida, mancanza di innovazione contraddistingue l'impresa, che pure ama pavoneggiarsi di presunta innovatività nei confronti della Pubblica Amministrazione. Tutto sommato, è più innovativa l'Università che l'azienda.

Domanda: Oggi è in corso un dibattito che potremmo sintetizzare in una frase: "Erano meglio i boiardi...." cioè la grande impresa pubblica, dei Reiss Romoli, dei Bernabei, dei Mattei che non viene più giudicata soltanto uno spreco di risorse ed un fatto di arretratezza. L'esperienza dell'impresa pubblica ha qualcosa da dire anche all'Italia contemporanea che sta vivendo la crisi, a volte quasi irreversibile, dei grandi gruppi finanziari ed industriali?

Domenico De Masi: Certo che ha molto da insegnare. Ai tempi di Mattei, di Olivetti, di Reiss Romoli le imprese erano "umili". Intendo dire che erano consapevoli del ritardo marcato nei confronti delle analoghe organizzazioni del Nord Europa e degli stati uniti.

Di formazione ce n'era poca. Ma quella poca era curatissima. E si andava spesso all'estero per apprendere contenuti e metodi da importare con apprensione critica. Basti pensare alla quantità di metodi (case methods, in basket, role playing) che un docente di management doveva possedere prima di andare in aula. Ora ci si affida al power point.

Domanda: Telelavoro: lei è il fondatore della SIT (Società Italia del Tele - lavoro): un giudizio sullo stato dell'arte, in Italia, di questa rivoluzione del modo di lavorare.

Domenico De Masi: Quanto al telelavoro, tutti lo adottano ma nessuno se ne accorge. Basta ascoltare le migliaia di persone incollate ai cellulari: nei bar, nelle strade, nei treni, negli aeroporti. Sbrigano faccende personali. Cioè telelavorano. Ma le aziende non lo riconoscono contrattualmente.

Perseguitano chiunque gioca con Internet nelle ore di lavoro ma non premiano chi sbriga faccende di lavoro durante il tempo libero. L'organizzazione postindustriale dovrebbe essere mirata allo sviluppo della creatività e alla produzione di idee.

Dunque dovrebbe essere basata sulla motivazione, non sul controllo. Non mi risulta, però, che le aziende si siano trasformate in questo senso. Anzi, l'adozione massiccia di lavoro a termine va nel senso opposto della fidelizzazione e della motivazione.

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Pier Luigi Tolardo

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