Uno studio legale californiano ha presentato alla Corte di Stato la prima citazione in giudizio per fatti relativi a un CD audio protetto con sistemi anticopia. Sorpresa: l'imputato è la casa discografica.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 26-09-2001]
Chi si aspettava di vedere sotto processo qualche ragazzino (o, perché no, qualche ricercatore universitario) pizzicato a scopiazzare cd audio protetti resterà deluso. La prima causa legale al mondo originata dai nuovi sistemi di protezione dei CD audio contro la copia vede infatti imputata la casa discografica, per non avere esplicitamente dichiarato sulla copertina del CD quali limitazioni al suo utilizzo vengono imposte dalla protezione stessa. Ma non solo per questo.
La signorina Karen DeLise acquista l'ultimo CD di Charley Pride, "A Tribute to Jim Reeves". Giunta a casa, scopre con disappunto che non è possibile suonarlo nel computer: inserendolo nel lettore CD-ROM viene attivato il browser, il quale approda automaticamente ad un sito dal quale è possibile, previa registrazione, scaricare i brani in un formato digitale protetto. Da qui la decisione di portare in tribunale non solo la Music City Records, ma anche la casa madre Fahrenheit Corporation e la SunnComm Inc., produttrice del sistema di protezione.
L'accusa non è infondata. Infatti, sulla confezione è chiaramente dichiarato che il CD è protetto e che può essere suonato sui normali riproduttori di CD e non sui lettori di DVD: ma non si fa alcun cenno al fatto che non sia possibile ascoltarlo attraverso il lettore CD del computer, cosa che ormai tutti noi siamo abituati a considerare ovvia e scontata. Perché mai, se dispongo di un computer in grado di riprodurre CD in alta fedeltà, dovrei essere costretto ad utilizzare (e magari a comperare appositamente) un impianto stereo per ascoltare gli album da me regolarmente acquistati e pagati fior di quattrini? E perché non dovrei avere la possibilità di convertirne il contenuto in formato MP3 per ascoltare, ad esempio, mediante un MP3 player, la musica che ho acquistato?
Si tratta di una tesi francamente inaccettabile, perché eccessivamente penalizzante nei confronti di chi è comunque regolare possessore di un bene, e può quindi ben desiderare di farne l'uso che più ritenga consono alle proprie necessità (restando, beninteso, nel lecito). Di questo passo potremmo arrivare velocemente a situazioni insostenibili: per esempio, una casa discografica potrebbe rilasciare CD riproducibili esclusivamente da lettori di una certa marca. Perciò, se volessi ascoltare la musica di artisti che incidono per altre etichette, dovrei comperare un altro cd-player, o addirittura più di uno.
Assurdo? Certamente. Impossibile? Mica tanto.
Notissime multinazionali sono, al tempo stesso, case discografiche di rilevanza mondiale e produttrici di impianti stereo (nonché di masterizzatori, ma questo è un altro discorso). In ambito software una situazione analoga è già realtà; basti pensare ai formati utilizzati per la codifica degli e-books: proprietari, reciprocamente incompatibili e studiati per conferire al produttore il pieno controllo dell'utilizzo da parte dei consumatori.
E infatti, manco a dirlo, i files audio scaricabili dagli acquirenti del disco di Pride sono codificati in modo da poter essere riprodotti esclusivamente dal Media Player 7 di Microsoft, e non è perciò possibile trascodificarli in formato in MP3. E se, per qualche motivo, non volessi installare il Media Player? E se, per parecchi motivi, fossi un utente Linux? A prescindere dalle guerre sante per i sistemi operativi, è chiaro che (per fortuna; per adesso) nessuno è obbligato ad usare Windows e il Media Player, perciò l'opzione del download ha valore solo per chi lo fa. Tutti gli altri, al minimo, avrebbero diritto ad uno sconto sul prezzo d'acquisto del CD.
Ma le accuse rivolte dalla DeLise ai discografici non si esauriscono qui. Il sito attivato per il download dei files richiede che l'utente si registri comunicando nome, cognome e indirizzo di posta elettronica. In pratica, è impossibile ascoltare "A Tribute to Jim Reeves" sul proprio computer senza rinunciare all'anonimato.
Leggi la seconda parte - Comunicare i propri dati a sconosciuti è pericoloso!
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