Il libero accesso alle informazioni raccolte dai governi può essere uno strumento per aumentare sia la trasparenza che la partecipazione democratica.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 20-02-2013]
Il concetto e la definizione di "dati aperti" (o, usando l'espressione inglese, open data), ossia la possibilità di accedere liberamente a certi tipi di dati senza restrizioni, nascono dalla pratica, non da una norma di legge (come nel caso dei dati "resi pubblici").
La loro teorizzazione risale al 1995 e solo recentemente sono approdati alla politica, a causa della questione circa la regolamentazione di Internet.
È stata in effetti la Open Government Initiative, voluta da Barack Obama all'indomani della sua prima elezione alla Casa Bianca (il provvedimento è del 20 gennaio 2009), a segnare il battesimo politico del fenomeno "trasparenza dei dati".
Ed è stato in gran parte merito di Tim O'Reilly, reduce dal suo storico scontro con Amazon in ordine alla questione della brevettabilità, se poco più di un anno prima, nel dicembre del 2007, si era riusciti a giungere alla definizione di "dati aperti" in seno a un gruppo di lavoro composto una trentina di membri sponsorizzato da Google e Yahoo.
Ciò che poi divenne l’Open Government Working Group ha individuato otto principi imprescindibili, che devono essere presenti tutti contemporaneamente negli Open Government Data (le informazioni raccolte dal governo e poi rese "aperte" e liberamente disponibili):
"Data Must Be Complete, Primary, Timely, Accessible, Machine processable, Non-Discriminatory, Non-Proprietary e License-free": cioè i dati devono essere Completi, Fondamentali, Idonei, Accessibili, Eseguibili, Imparziali, Disponibili a tutti e Non coperti da brevetto.
Sicuramente questa definizione più estesa ha costituito un passo avanti nel chiarire il concetto di "dati aperti"; tuttavia, come osserva Simon Chignard (conferenziere, esperto e autore di testi d'informatica), nello stesso tempo ha costituito - almeno negli negli USA - una sorta di "peccato originale" degli Open data, prestandosi a una doppia lettura sia sul versante della trasparenza politica sia su quello della democrazia partecipata.
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Infatti, pur costituendo la premessa degli Open data, nella sua contraddittorietà la definizione si rivela comunque complementare al formare le vere colonne della "democrazia aperta" modernamente intesa, tenendo conto della presenza, in proposito, di tre correnti di pensiero che si distinguono per la diversa importanza accordata alla "trasparenza" e alla "visibilità".
L'approccio liberaleggiante al problema riecheggia una certa diffidenza nei confronti del "pubblico" e individua nella trasparenza un utile strumento di denuncia; al contrario i "libertari" in senso assoluto non si fidano "a prescindere" dei governi e individuano nella trasparenza il miglior mezzo di sorveglianza.
Per finire, i movimenti puramente partecipativi basano la loro azione su un approccio tutto sommato molto soft, avendo unicamente il desiderio di ricostruire la fiducia del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione.
È ovvio che la classificazione suddetta, come qualsiasi altra tra le possibili, non è esaustiva; tuttavia traduce abbastanza diversità di impostazione e di obiettivi tra le diverse componenti del movimento tendente a una normativa realmente aperta sul governo della Rete.
Al di là dell'Atlantico, l'ideale alla base degli open data si è diffuso velocemente da quando la politica se ne è impadronita. Ma occorre dire che i soggetti passivi della normativa non offrono altro che un'adesione formale al principio della trasparenza.
Nasce da qui la necessità di incoraggiare la partecipazione dei cittadini affinché prendano coscienza dell'impatto positivo dal punto di vista democratico che una reale apertura avrebbe nella vita quotidiana di ognuno.
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