Un'altra iniziativa di protesta attorno all'uso del codice a barre. Anche questa fermata bruscamente. Perché?
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 30-11-2003]
In un altro articolo abbiamo visto che il codice a barre può essere uno strumento di controllo e di informazione sulle abitudini del consumatore. Come avviene spesso, questo mezzo di oppressione può trasformarsi in un'arma di liberazione, così è stato per il CueCat. Questo, comunque, non è il solo esempio di intervento hacker su questa tecnologia: c'è un'altra storia, quella di re-code (grazie al lettore pino per la segnalazione).
Re-code era un sito che permetteva agli utenti di introdurre informazioni (marca, tipo, negozio, numero di barcode, prezzo, confezione) sui prodotti acquistati in un database centrale di accesso libero. Fin qui tutto regolare: era l'utilizzo pieno e condiviso delle informazioni commerciali da parte dei consumatori, ma la cosa non si fermava qui.
Era infatti possibile modificare una o più di queste informazioni, e generare a video l'immagine del codice a barre "taroccato". Questo poteva essere stampato su carta adesiva, appiccicato su una o più confezioni all'interno del supermercato e... obiettivo centrato: caos nel sistema informatico della catena distributiva.
"Siamo convinti di non aver violato nessuna legge", sostengono i ragazzi di re-code, "ma ci mancano i soldi per affrontare una battaglia legale", soldi che chiunque voglia sostenere l'iniziativa può inviare loro in cambio di gadget. Comunque, la loro eredità, sotto forma del codice sorgente del "bar-code generator", rimane a disposizione gratuita, modificabile, libera. Nel rispetto rigoroso della filosofia hacker.
Il fenomeno si presta a diverse chiavi di lettura: è sicuramente un atto di somma protesta contro un sistema in cui, dicono quelli di re-code, "una ragazza di diciott'anni che ruba una confezione di pile al Walmart, subisce una condanna più dura rispetto ai membri del CdA della Enron, autori del furto di miliardi di dollari".
Dal punto di vista strettamente legale, però, più che un'azione volta a tutelare i diritti del cittadino-consumatore, sembra un vero e proprio atto di guerriglia tra gli scaffali, più che una civile protesta, un micro sabotaggio. Aldilà dell'innocuità materiale del gesto di modificare i dati dei prodotti, si trattava di un atto informaticamente violento, che aveva lo scopo di truffare il punto vendita (ritengo che i dati modificati si riferissero quasi sempre a prodotti meno costosi dell'originale).
Queste iniziative sono destinate a lasciare il tempo che trovano, e il massimo obiettivo che si possa loro augurare è scuotere un po' l'opinione pubblica. Si producono però alcuni effetti collaterali: dividere il popolo dei consumatori in due fazioni, l'una a favore della protesta e l'altra irritata da questa, e regalare a chi usa illegittimamente le nostre informazioni personali, una patente di legalità francamente immeritata.
Giù il cappello, dunque, di fronte a iniziative come re-code, ma ci sono anche forme di protesta più percorribili ed efficaci.
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