Sentenze indegne e roghi virtuali segnano il cammino di chi tutela gli interessi economici dei più forti.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 30-06-2007]
La legge Urbani, la Ipred2 e compagnia non piacciono. Non solo perché sono in qualche modo limitative degli scambi culturali, ma anche e soprattutto perché pare chiaro che i politici si siano fatti e tuttora si facciano abbindolare dalle proteste delle major e delle loro organizzazioni, volte a perpetuare privilegi di sapore -e sostanza- medievali.
Sono però leggi dello Stato o infranazionali, e vanno rispettate anche quando non piacciono. Fortunatamente siamo ancora in democrazia: proteste e commenti sono ancora legittimi, almeno per un po', e magari possono servire a riportare certi valori di fondo all'attenzione di qualche coscienza sopita, nella speranza che se ne ricordi al momento del voto.
La vicenda è ormai abbastanza nota e ripresa anche su queste colonne, tuttavia ora è stata depositata la motivazione della sentenza con cui il Tribunale di seconda istanza di Parigi ha condannato due incauti naviganti, assolti in primo grado, che scambiavano contenuti protetti dalla legge che tutela il diritto d'autore.
Il procedimento giudiziario, iniziato a seguito di indagini svolte da agenzie private, in sostanza è stato ritenuto legittimo in base a ragionamenti del tutto speciosi.
Una prima argomentazione era volta a confermare che l'indirizzo Ip non consente di identificare le persone che hanno utilizzato il computer per connettersi a Internet, e che la legge riserva alla magistratura tale esclusiva facoltà.
Il tribunale afferma che tuttavia gli investigatori non hanno violato alcuna norma sulla privacy, in quanto essi hanno ottenuto l'indirizzo Ip connettendosi alla rete p2p con uno pseudonimo, ciò che era nelle possibilità di qualsiasi utente, accedendo quindi ai file condivisi.
Presentato tale rapporto alla magistratura, quest'ultima avrebbe poi ordinato al provider di fornire i dati personali degli utenti connessi in rete unitamente ai dati tecnici di riferimento. Inoltre essa conferma l'assunto della Società Privata dei Produttori Fonografici, secondo il quale le operazioni preliminari di ricerca da essa ordinate non dovevano essere previamente autorizzate neppure dalla "Commissione Nazionale dell'Informatica e delle Libertà".
Ciò in quanto l'indirizzo Ip è completamente slegato dall'utilizzatore finché il dato non venga incrociato con il database del fornitore di connessione internet; cosa che, appunto, può essere ordinata solo dal magistrato e porta in conseguenza all'indentificazione univoca della persona fisica.
Se le premesse non sono prive di logicità, è la conclusione a essere non solo profondamente errata ma anche completamente priva di basi giuridiche. Innanzi tutto, tutti i Paesi civili riconoscono che il reato penale è fatto esclusivamente personale.
Per arrivare alla condanna, occorre cioè non solo la certezza del reato ma anche la certezza di chi lo ha commesso, "al di là di ogni ragionevole dubbio" aggiungono i legislatori più avanzati.
Sappiamo tutti che l'indirizzo Ip è quanto di più aleatorio ci sia, o almeno lo sa chi con l'informatica ci bazzica per mestiere o per passione; è possibile infatti occultarlo, falsificarlo, renderlo incerto o illegibile con cento e uno sistemi diversi.
Il voler collegare l'indirizzo Ip al titolare della connessione anche solo con una ragionevole certezza, vorrebbe dire come minimo aver sottoposto a perizia giudiziaria l'intero database non solo delle connessioni dell'abbonato ma dell'intero periodo, per escludere in qualche modo la possibilità di errori o di sostituzioni della persona.
L'incertezza sostanziale sulla persona trascina conseguentemente l'ipotesi del danno economico nei confronti degli aventi diritto, ma questa è solo una constatazione marginale. Sostanziale è invece stabilire l'ammontare del danno che, anche in caso si ritenesse legittima la condanna, dovrebbe essere dimostrato dal danneggiato.
Infatti, trattandosi di delitto punito a norma di legge, l'ammontare non dovrebbe poter essere deciso dal giudice "secondo equità" o altra ipotesi analoga valida nel proceso civile. Invece il voler determinare apoditticamente (sebbene in misura presumibilmente inferiore alla realtà) l'ammontare del danno, che neppure il danneggiato saprebbe determinare per difetto oggettivo di riferimenti certi, non fa che confermare l'ipotesi di una magistratura ormai asservita al potere politico, che è a sua volta sola espressione del potere economico.
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