La Corte di Giustizia Europea si pronuncia sul peer to peer

Un punto fermo sulla querelle che vede contrapposte le major dell'intrattenimento e il diritto alla privacy degli utenti.



[ZEUS News - www.zeusnews.it - 30-01-2008]

Foto di <A HREF=http://it.fotolia.com/partner/200.

Già in Inghilterra la magistratura aveva recentemente iniziato a prendere le distanze dalle pretese delle case discografiche e cinematografiche, che senza impedimenti e controlli avrebbero voluto mettere le mani sui dati degli utenti sospettati di praticare download illegali. Successivamente gli svizzeri avevano fatto valere la loro normativa circa la protezione dei dati personali degli utenti del web, che per poter essere rivelati devono essere prova in un procedimento penale, mentre se ne esclude l'impiego nelle cause civili.

In casa nostra, il Garante della privacy si era dimostrato un attento interprete della legge nel caso Peppermint, ditta specializzata nella raccolta dei dati di connessione, che pretendeva dai provider elementi di prova per perseguire giudizialmente gli utenti sospettati di mettere in opera il file sharing.

Sono tutte lodevoli iniziative, ma non erano riuscite a stabilire un univoco indirizzo giuridico in ambito comunitario, anche per le incertezze più volte manifestate dai giudici tedeschi e, da ultimo, lo sciagurato esito della "mission Olivenne" in quel di Francia con il presidente Sarkozy impegnato in prima persona nel difendere gli interessi degli editori musicali, autorizzati senza mezzi termini a tracciare le connessioni in tecnologia P2P.

Infatti il sindacato degli autori ed editori SPPF aveva da ultimo ricevuto il via libero dalla CNIL, il Comitato di sorveglianza sulle libertà costituzionali, a mettere in opera programmi automatici al fine di rintracciare le possibili opere contraffatte distribuite illegalmente in rete.

Lo scopo dichiarato sarebbe ridurre la pirateria del 50% in un anno; ma non sarebbe stato che la prima tappa, perché nelle intenzioni della SACEM, cioè la consorella della nostra SIAE, la "risposta progressiva" delle istituzioni alla contraffazione prevista dalle nuove disposizione di legge, avrebbero condotto a una sempre più stretta collaborazione con le autorità pubbliche incaricate della lotta alla duplicazione illegale. Una specie di intelligence privata dotata di poteri e di mezzi quasi assoluti, solo a cose fatte avrebbe consegnato i "colpevoli" (veri o presunti) al braccio secolare della legge per le conseguenti punizioni.

L'attività di polizia in sostanza sarebbe demandata ad aziende del tipo AdVestigo, praticamente in grado di sorvegliare e rintracciare qualsiasi documento in circolazione sul web come filmati, brani musicali e testi.

Identica attività idi ricerca e controllo preventivo si potrebbe svolgere nell'ambito aziendale anche su file di testo o immagini in formato proprietario, per mezzo di tecnologie basate su impronte numeriche nascoste nei file e in grado di essere comparate con l'originale anche in caso di modifiche del file stesso per scavalcarne le protezioni digitali.

Fortunatamente a fare il punto della situazione, dettando chiare regole in ordine al rispetto del diritto alla riservatezza dei dati personali, è intervenuta la Corte di Giustizia Europea, che si è pronunciata con sentenza del 29 gennaio stabilendo una volta per tutte che la comunità non impone agli Stati membri l'obbligo di comunicare i dati personali degli utenti dell'internet in caso di contenzioso civile.

La controversia nasceva dall'azione giudiziaria intentata dalla Promusicae, associazione spagnola a tutela degli interessi degli autori ed editori di quella nazione, contro il provider Telefonica che intendeva tutelare la privacy dei propri abbonati accusati di scaricare contenuti protetti mediante il noto software KaZaA.

Gli Stati membri sono tenuti a fondarsi su un'interpretazione delle norme nazionali tale da "garantire un giusto equilibrio tra i diversi diritti fondamentali tutelati dall'ordinamento giuridico comunitario". Inoltre "sono tenuti non solo a interpretare il loro diritto nazionale in modo conforme alle dette direttive, ma anche a provvedere a non fondarsi su un'interpretazione di esse che entri in conflitto con i summenzionati diritti fondamentali o con gli altri principi generali del diritto comunitario, come il principio di proporzionalità".

In sostanza, afferma la Corte, sono possibili deroghe, purché siano conciliati gli obblighi nascenti dalla necessaria tutela della proprietà con il rispetto della vita privata dei cittadini; questo pare il massimo ottenibile nel presente contesto, caratterizzato da spinte sempre maggiori verso la marginalizzazione della cultura a vantaggio degli interessi di pochi.

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© RIPRODUZIONE RISERVATA

Commenti all'articolo (3)


{paolo}
rimuovere ppp dal layer Leggi tutto
22-7-2009 11:42

Trovo lodevole che si tenga conto di rischi che si palesano così chiaramente. La privacy non è solo un diritto del singolo ma una necessità per tutta la comunità umana. L'accentramento del potere di intromissione nel privato dei cittadini da parte di enti e società per così dire "astratte" ed impersonali dove vengono a formarsi... Leggi tutto
30-1-2008 12:51

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