Il sistema produttivo italiano vive una profonda crisi di cui il caso Fiat è solo l'ultimo e più visibile segno: la crisi rischia di farci arretrare pesantemente anche come Pil e come tenore di vita. Il vero problema è il deficit di innovazione, la mancanza di attenzione da parte del pubblico come del privato alla ricerca scientifica e tecnologica.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 02-11-2002]
Può essere utile fare un confronto tra le prime edizioni dello Smau di Milano e quella appena conclusa per capire di che natura sia la crisi in cui si dibatte il sistema produttivo del nostro Paese, a partire dai settori dell'high-tech e dell'ICT.
Ripercorriamo le edizioni dello Smau: da quello che aveva protagonista di spicco l'Italtel di Marisa Bellisario (tra i primi costruttori di apparati di Tlc in Europa e nel Mondo, con le prime centrali telefoniche elettroniche), a quello attuale dove l'Italtel non esiste più perché smembrata e venduta ai tedeschi. Non c'è più nemmeno la Telettra, azienda di spicco nelle radiocomunicazioni venduta dalla Fiat alla francese Alcatel, uno dei tanti errori del management della casa automobilistica torinese, per volontà del mitico Romiti: litigando con l'ancor più mitico Craxi fece fallire l'ipotesi di un polo manifatturiero delle Tlc per l'Italia capace di reggere la competizione internazionale.
Non c'è più l'Olivetti, che nei primi anni dello Smau lanciava il suo Pc e si guadagnava la copertina di Time; perfino l'Omnitel che era nata per evitare il fallimento di Olivetti (quello finanziario perché per quello industriale non si è fatto niente) tra poco non esisterà nemmeno più come nome per lasciare il posto alla proprietaria Vodafone.
Difficile pensare all'Italia come Paese di servizi: persino Mediaset è stata esclusa, nonostante o forse perchè sia di proprietà del Presidente del Consiglio, dall'affare delle tv e dei giornali tedeschi del Gruppo Kirch.
Quale è la vera natura della nostra crisi produttiva ed ora anche economica e sociale?
Bisogna dire con crudezza che, a dispetto di tanta retorica sulla nostra creatività, il nostro Paese ha investito troppo poco sulla ricerca e sull'innovazione scientifica e tecnologica. Non ha investito la Fiat per nuovi modelli e per un auto eco-compatibile; non ha investito nessuno in nuove tecnologie informatiche, telematiche. Non si è speso in ricerca ma si è fatta tanta speculazione finanziaria: tanto consumismo, tante tangenti, tanta esportazione di capitali; si è vissuto appiattiti sul presente, senza pensare al futuro, ed ora si vive delle glorie del passato.
Il nostro Paese ogni due anni ha un nuovo Premio Nobel della Fisica o della Medicina, un "ex italiano" che ha lasciato il nostro Paese più o meno giovane, per la disperazione di non avere strumenti, laboratori, staff motivati, una retribuzione dignitosa ed un discreto prestigio sociale. Niente però cambia: il Governo Prodi che aveva un programma ambizioso di rilancio della ricerca ha presto interrotto la sua esperienza; i Governi precedenti non hanno fatto niente, a prescindere dal colore politico, che fossero presieduti da D'Alema, Amato o Berlusconi.
In questa Finanziaria non c'è nessun vero incentivo fiscale alla ricerca dei privati e con i fondi messi a disposizione il Consiglio Nazionale delle Ricerche non è certo di riuscire a pagare gli stipendi ai ricercatori. Gli unici progressi fatti nel campo della ricerca sul cancro o contro le distrofie muscolari si devono solo alla generosità degli italiani che hanno contributo a progetti promossi da associazioni e fondazioni private.
Tra qualche anno lo Smau sarà da Terzo Mondo nel pieno significato del termine: la Fiera dell'ICT di uno dei Paesi più sviluppati del Terzo Mondo, appunto.
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