L'e-business ha nella propria struttura il germe della creazione di ricchezza e quello dell'agire per un mondo migliore. Eppure non decolla.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 01-10-2003]
Negli anni d'oro della New Economy, una nota casa automobilistica torinese lanciò un servizio online al pubblico: buy@fiat, acquista la tua Fiat on line. Il servizio è ancora attivo e chiunque può farsi un'idea personalmente (N.d.R.: se non usate un sistema operativo Windows, non potrete ultimare la scelta dell'auto - sigh). Per i più pigri, riassumo io: dopo aver scelto, grazie ad una buona interattività, l'automobile nel modello, allestimento, colore desiderati, si viene invitati a presentarsi... al concessionario di zona. Inutile aggiungere che, in questo modo, il prezzo di acquisto non è inferiore a quello che si otterrebbe visitando semplicemente il concessionario. Così, tanti saluti al contatto telematico col produttore, alla possibilità di evitare gli intermediari, a possibili risparmi per il consumatore.
L'e-commerce dovrebbe minimizzare il magazzino del venditore, consentire l'esternalizzazione e la programmazione dei costi di distribuzione in base agli ordini, quindi ridurre al minimo sia il rischio che il capitale investito. Ed allora, perchè i prodotti hanno sempre avuto costi pari o superiori alla distribuzione convenzionale? In altre parole, visto che l'azienda venditrice non deve affrontare tutta una serie di costi, tra cui il rischio dell'invenduto e l'allestimento di un negozio accogliente, perchè il consumatore deve pagare, al netto delle spese di spedizione, lo stesso prezzo che pagherebbe nel negozio sotto casa?
Trattengo a stento l'impulso di parlare di truffa, e cerco di azzardare alcune ipotesi: l'interesse fortissimo dei produttori a tutelare i loro canali tradizionali (quello di buy@fiat è solo un esempio), i profitti gonfiati artificialmente per mantenere alto il valore delle azioni durante la corsa folle del Nasdaq, l'insipienza (e talvolta la malafede) degli operatori coinvolti finora.
Tutto come prima, dunque? Eppure questo canale commerciale-distributivo qualche numero ce l'ha.
Primo: la trasformazione di costi fissi in costi variabili permette di abbassare la scala minima di ingresso, polverizzando potenzialmente l'offerta. Perdonatemi l'oscuro gergo da economista, perchè ora arriva la traduzione: il non dover allestire faraonici negozi in centro, permette a tutti di aprire negozi virtuali, e molti negozi aumentano la libertà dei clienti, la concorrenza e la qualità del servizio.
Secondo: la rete permette di eliminare le barriere geografiche, aumentando ancora la libertà dei consumatori. Il solo fatto che il venditore possa essere direttamente in concorrenza con un collega localizzato in un'altra città, comporta automaticamente prezzi onesti e qualità maggiore.
Terzo: l'accorciamento della filiera commerciale permette di abbassare la maggior parte dei costi commerciali, sostituendoli con servizi reali di entità predeterminata e non soggetti a variazioni spaziali o temporali. Traduzione: il fatto che si arrivi dal produttore al consumatore in pochi passaggi (al limite uno), fa sparire il costo dei passaggi di mano in mano; per contro si creano nuovi costi, tipo la spedizione del singolo oggetto, ma di entità ridotta e pattuita in partenza, non soggetta a speculazioni e ricarichi.
Quarto: una filiera più corta è più trasparente. Questo permette al consumatore accorto e sensibile di evitare di acquistare involontariamente prodotti che utilizzano manodopera minorile, o che in qualche modo sfruttano soggetti deboli.
Quinto: ZeusNews ha già parlato del lancio di una economia sostenibile basata sui prodotti di fascia bassa: educare i consumatori ad un corretto rapporto con l'ambiente attraverso il prezzo basso. Aziende innovative potrebbero trovarsi un mercato enorme senza faticare, sfruttando i buchi di catalogo lasciati scoperti dai cartelli che oggi dominano il commercio. Ma utilizzando i normali canali distributivi, che hanno un costo notevole, i vantaggi di prezzo si annacquano dopo pochi passaggi di mano tra intermediari. Lo vediamo nella vita di tutti i giorni: un paio di pantaloni, per costare la metà, deve avere una qualità cinque volte inferiore (un disastro per noi taccagni). L'e-commerce, quindi, sembra essere l'unico strumento del consumatore per esercitare la propria libertà di scelta verso un consumo responsabile, parco ed ecocompatibile.
E poi la possibilità per aziende di nicchia di estendere virtualmente a tutto il mondo la propria area di operatività, la comunicazione, diretta e bidirezionale, con l'utente (caratteristica molto cara anche a noi di ZeusNews), l'elenco potrebbe continuare per pagine e pagine.
Ciò nonostante, delle magnifiche sorti e progressive dell'e-commerce, come direbbe Giacomo Leopardi, non si è ancora visto nulla. Dobbiamo arrenderci? Esistono alternative percorribili? Proviamo a pensarci. L'impressione è che qualunque strada intrapresa dovrà comunque avere come protagonista il consumatore.
L'articolo, volendo, continua.
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