Sentenza USA sul monopolio di Google: l'azienda non sarà spezzettata, ma dovrà condividere i dati



[ZEUS News - www.zeusnews.it - 05-09-2025]

google sentenza doj
Foto di Mitchell Luo.

Il giudice federale statunitense Amit Mehta ha emesso una sentenza di 230 pagine che segna un punto di svolta nella lunga battaglia legale tra il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti e Google, accusata di pratiche monopolistiche nella ricerca online. La decisione, che segue una sentenza dell'agosto 2024 in cui Google era stata dichiarata colpevole di mantenere illegalmente un monopolio, rappresenta un compromesso tra le richieste radicali del governo e la difesa dell'azienda. Il tribunale ha respinto l'ipotesi di obbligare Google a cedere asset strategici come il browser Chrome o il sistema operativo Android, ma ha imposto misure significative per promuovere la concorrenza, tra cui la condivisione di dati con i rivali e il divieto di accordi esclusivi.

Il processo, iniziato nel 2020, si è concentrato sulle pratiche con cui Google ha consolidato la sua posizione dominante, che copre circa l'89,2% del mercato delle ricerche online negli Stati Uniti, con un picco del 94,9% sui dispositivi mobili. Il Dipartimento di Giustizia ha sostenuto che Google abbia utilizzato accordi miliardari con aziende come Apple, Samsung e Mozilla per garantire che il suo motore di ricerca fosse l'opzione predefinita su dispositivi e browser. Per esempio, nel 2021 Google avrebbe speso 26 miliardi di dollari per mantenere questa posizione, di cui 18 miliardi solo per Apple, secondo quanto riportato dal New York Times. Queste pratiche, definite dal giudice Mehta come un «circolo vizioso» di comportamenti anticoncorrenziali, avrebbero soffocato la competizione, limitando la crescita di alternative come Bing di Microsoft o DuckDuckGo.

La sentenza di quest'anno stabilisce che Google non dovrà vendere Chrome, che rappresenta il 35% delle ricerche online ed è utilizzato da oltre 4 miliardi di utenti, né Android, presente sul 70% degli smartphone a livello globale. Il giudice ha ritenuto che la cessione di questi asset fosse una misura eccessiva, poiché Google non li ha utilizzati direttamente per imporre restrizioni. Tuttavia, l'azienda è obbligata a condividere con i concorrenti qualificati parti dell'indice di ricerca, generato dalla scansione del web, e dati sulle interazioni degli utenti, escludendo però informazioni relative alla pubblicità. Questo provvedimento mira a «livellare il campo di gioco», consentendo a rivali come Bing, DuckDuckGo o persino aziende di intelligenza artificiale come OpenAI di sviluppare prodotti più competitivi.

Inoltre il tribunale ha vietato a Google di stipulare o mantenere contratti esclusivi per la distribuzione di servizi come Google Search, Chrome, Google Assistant e l'app di intelligenza artificiale Gemini. Questo significa che accordi come quelli con Apple o Mozilla per rendere Google il motore di ricerca predefinito su Safari potrebbero essere rimessi in discussione, con potenziali ripercussioni economiche per entrambe le parti. Apple, ad esempio, riceve circa 20 miliardi di dollari all'anno da Google per questo accordo.

Google ha accolto con sollievo la decisione di non cedere Chrome e Android, ma ha espresso preoccupazioni per l'impatto delle nuove regole sulla privacy degli utenti e sull'innovazione. In una nota ufficiale l'azienda ha sottolineato che «l'avvento dell'intelligenza artificiale ha cambiato radicalmente l'industria, offrendo alle persone più possibilità di scelta». Ha anche criticato la sentenza dell'agosto 2024 che l'ha definita monopolista e ha annunciato l'intenzione di presentare ricorso, suggerendo che la battaglia legale sia lungi dall'essere conclusa. Google teme inoltre che la condivisione obbligatoria dei dati possa compromettere la sua capacità di competere in un mercato sempre più orientato verso l'intelligenza artificiale, dove aziende come OpenAI stanno guadagnando terreno con prodotti come SearchGPT.

La sentenza ha implicazioni che vanno oltre Google. Mozilla, che riceve circa 500 milioni di dollari all'anno da Google per impostare il suo motore di ricerca come predefinito su Firefox, potrebbe subire un duro colpo economico. Allo stesso modo, la fine degli accordi esclusivi potrebbe spingere Apple a sviluppare un proprio motore di ricerca, anche se esperti come Jonathan Guilford di Reuters sottolineano le difficoltà di competere con Google: persino Microsoft con il suo Bing detiene solo il 5% del mercato nonostante una capitalizzazione di 3.000 miliardi di dollari.

Dal punto di vista degli utenti, la sentenza potrebbe portare a cambiamenti graduali. L'eliminazione degli accordi esclusivi potrebbe introdurre schermate di selezione del motore di ricerca sui dispositivi, simili a quelle già adottate in Europa con il Digital Markets Act. Gli utenti, d'altra parte, tendono a scegliere opzioni familiari, il che potrebbe limitare l'impatto immediato sui concorrenti. La condivisione dei dati potrebbe favorire lo sviluppo di motori di ricerca più avanzati ma solleva interrogativi sulla privacy, un tema su cui Google stessa ha già espresso preoccupazioni.

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