Il venture capital per nuove imprese e per l'innovazione è in crisi: perché non rilanciarlo con un Fondo finanziato direttamente dai lavoratori?
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 16-12-2003]
Negli anni '80 il nostro Paese era alle prese con una crisi connotata dal fenomeno cosiddetto della "stagflazione": una fortissima inflazione a due cifre, quasi argentina, che erodeva il potere di acquisto di pensioni e salari, unita ad un basso tasso di sviluppo.
Poi, grazie ad un forte senso di responsabilità delle organizzazioni sindacali che accettarono di moderare la crescita salariale, e ad una politica di contenimento del deficit pubblico abbiamo avuto un decennio dal '93 ad oggi di inflazione sempre calante e di crescita economica.
Sono stati anche gli anni della new economy, con la bolla speculativa ed il mito di Internet, ma anche con la nascita di nuove imprese basate sull'innovazione tecnologica, sul lancio di nuovi prodotti a forte contenuto intellettuale, alla nascita di nuove figure professionali con un elevato livello culturale.
Oggi non è più così: soldi e investitori che vogliano rischiare nel venture capital sembrano non essercene più, eppure mai come in questo momento il nostro Paese ha bisogno di innovazione tecnologica e di nuove imprese ad alto valore aggiunto che si affaccino in settori dove ancora non è arrivata la concorrenza dei bassi salari della Cina o dei Paesi in via di sviluppo.
La differenza anche tra Usa ed Europa sta, soprattutto, nella maggiore produttività americana grazie al più alto tasso di investimenti in Ict ed in formazione del personale.
C'è un'idea che negli anni '80 era emersa in ambiente sindacale, ma non aveva avuto grandi sviluppi, che potrebbe tornare utile oggi.
Negli anni '80 Cgil-Cisl-Uil avevano fatto propria un'idea nata nella Cisl di Carniti di creare un Fondo di solidarietà alimentato con un prelievo volontario dell'0,50% delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti a cui le aziende avrebbero dovuto contribuire con un'analoga quota per ogni lavoratore.
Questo Fondo di solidarietà amministrato congiuntamente da rappresentanti dei lavoratori e delle imprese avrebbe dovuto intervenire in quei casi, ed erano molti in quegli anni, in cui un'azienda andava in crisi non per un fatto strutturale, cioè per mancanza di mercato o per inadeguatezza dei prodotti ma per fatti congiunturali e, soprattutto, per problemi finanziari.
Era una bella idea: invece dell'assistenzialismo della Cassa Integrazione che durava per anni gli stessi Sindacati proponevano che solidalmente i lavoratori contribuissero allo sviluppo e se ne assumessero anche la responsabilità, e, già allora, c'è chi sosteneva all'interno del Sindacato la necessità di creare nuove imprese in questo modo che continuare a mantenerne in vita, artificialmente, di decotte.
Purtroppo non se ne fece niente: il Governo non produsse una legge che favorisse la creazione del Fondo dal punto di vista fiscale, la stragrande maggioranza degli imprenditori guardavano con sospetto la possibilità che il Sindacato si occupasse di cose che erano di loro esclusivo monopolio, ed anche una parte del Sindacato aveva paura di sporcarsi le mani e preferiva un ruolo solo rivendicativo e contrattuale e non anche propositivo e gestionale.
Il Fondo di solidarietà rimase un'utopia e qualche cosa dell'idea passò negli attuali Fondi di Previdenza integrativa, gestiti congiuntamente da Sindacati ed imprenditori, ma con finalità diverse e nei Fondi gestiti congiuntamente per la formazione e l'aggiornamento professionale.
Perché allora non riprendere l'idea di un Fondo di Solidarietà, finalizzato all'innovazione tecnologica e allo sviluppo delle imprese, finanziato e gestito anche con la partecipazione dei lavoratori e delle loro organizzazioni?
Sarebbe un modo per fare investire la gente sul proprio futuro, per dare speranze, per fare uscire il Sindacato dal ruolo di organizzazione conservatrice, che si occupa solo di pensionati e crisi aziendali in cui tanti, troppi vorrebbero rinchiuderlo. Forse, è ancora troppo un'utopia?
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