La first lady americana appare con le fattezze di una scimmia: l'azienda si scusa ma non rimuoverà l'immagine.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 26-11-2009]
Google si dice dispiaciuta ma l'immagine incriminata resta dov'è: non è compito della compagnia di Mountain View censurare il Web e sta all'intelligenza degli utenti decidere se seguire o meno i link proposti dal motore di ricerca, sebbene qualcuno preferisca un'azione più decisa.
Pomo della discordia è un'immagine ritoccata che "fonde" il viso della first lady americana, Michelle Obama, con quello di una scimmia: una trovata piuttosto stupida e offensiva, che non avrebbe suscitato tanto clamore se non apparisse al primo posto se si compie una ricerca con Google Images (versione Usa) usando come chiave proprio il nome della moglie del presidente statunitense.
Inizialmente, subito dopo la conquista della prima posizione, l'immagine era stata rimossa: Google affermava che il sito ospitante diffondeva malware e pertanto, secondo la normale policy del motore, il suo contenuto non doveva essere indicizzato.
Cliccandovi sopra si viene rimandati a una pagina in cui Google spiega come i risultati delle ricerche a volte possano essere offensivi anche se le chiavi di ricerca che li hanno generati sono del tutto innocenti; in ogni caso "i punti di vista espressi da siti di quel genere non sono in alcun modo supportati da Google".
Google, così come i motori di ricerca in generale, si limita a riflettere i contenuti del Web: se è pieno di schifezze, saranno queste ad apparire nei risultati.
Può capitare che Google rimuova dei contenuti, ma ciò avviene solo se essi sono illegali o contrari alle Webmaster Guidelines della compagnia oppure se è il webmaster del sito che li contiene a richiederlo: in tutti gli altri casi, anche se sorgono delle lamentele, l'azienda non ritiene che spetti a lei il compito di "spazzino del web".
La posizione ufficialmente espressa da Google è in linea con quanto ha sempre dichiarato; semmai viene da domandarsi perché abbia deciso di esplicitarlo proprio ora, dopo il caso di Michelle Obama, e non quando la pratica del Googlebombing irrideva altri bersagli, per esempio restituendo siti nazisti cercando la parola jew (ebreo).
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