L'autunno caldo dei call center

Il call center è diventato la fabbrica del 2000: assorbe la maggior parte della nuova occupazione, è un luogo nevralgico per la produzione dei servizi, ha ritmi duri e stressanti. L'autunno che ci attende vedrà probabilmente i giovani dei call center come protagonisti di primo piano.



[ZEUS News - www.zeusnews.it - 09-09-2002]

Ieri era Mirafiori, era Arese o Pomigliano d'Arco, era la Rodiatoce di Verbania o la Pirelli di Milano. Era la fabbrica, il centro della società industriale, con le sue sirene per scandire i turni e, soprattutto, con le sue mitiche "tute blu". Era la classe operaia, protagonista di film dove andava in paradiso, una classe operaia reclutata nel proletariato delle campagne del Sud, di basso livello di istruzione, forzosamente inurbata, che veniva vista come gli immigrati a cui, oggi, non si affittano le case.

La fabbrica sarebbe diventata, dalla fine degli anni '60 alla famosa marcia dei 40.000 a Torino (marcia contro lo sciopero da parte di capi e quadri), il luogo da cui partivano cortei e manifestazioni sindacali fino al cuore delle città, simbolo di una lunga marcia dei lavoratori verso diritti sindacali, aumenti salariali, rispetto della salute, richiesta di riforme sociali come sanità, scuola, pensioni, la casa.

Oggi il luogo centrale della società dei servizi è diventato il call center: quello dei gestori dei telefonini, ma anche quello delle banche, delle assicurazioni, degli enti pubblici, delle aziende commerciali.

Luogo nevralgico per i rapporti con i clienti, gestito con sofisticate tecnologie informatiche, il call center è il luogo dove è entrata la maggior parte della nuova occupazione giovanile, fatta di diplomati e laureati, spesso assunti con contratti part-time, a termine o interinali.

Giovani donne e giovani uomini, che al massimo arrivano a guadagnare 800-900 euro al mese (un monolocale ne costa almeno 400 a Milano) quando non sono pagati a cottimo come nei piccoli call center, costretti a turni 0-24, in cui ripetono sempre le stesse frasi, con ritmi duri e alienanti.

Ieri, questa nuova leva di giovani occupati ha accettato questa condizione come un passaggio obbligato per entrare nel mondo del lavoro, sperando in un posto fisso e, magari, in un lavoro diverso dopo qualche anno. Oggi, abbiamo questi giovani lavoratori con già 5-6 anni di lavoro di call center sulle spalle, magari sempre a part-time e senza prospettive concrete di passare a full-time o di fare un lavoro diverso.

Anche il Sindacato sta cominciando a entrare in queste nuove strutture del lavoro: con fatica cominciano le prime adesioni, i primi delegati eletti con le Rsu, le prime battaglie per introdurre più pause, meno controlli, più rispetto dei diritti sindacali. Le Aziende, dal Gruppo Telecom Italia a Vodafone, al Gruppo Cosmed, si stanno accorgendo che l'aria sta cambiando e cercano di correre ai ripari: iniziative di comunicazione interna per far sentire importanti gli uomini e le donne con cuffia e terminale, asili nido per le lavoratrici-madri.

Alcune iniziative sono patetiche: foto appese in bacheca o sul sito Intranet, altre ricordano sistemi paternalistici, altre ancora puntano a esasperare ulteriormente il clima con gare e premi legati alla produttività.

Non si colgono i nodi di fondo, ovvero la pesantezza delle mansioni e la necessità di ridurre l'orario; nel contempo, l'inadeguatezza dei salari a reggere il costo della vita, con o senza euro, per farsi una famiglia, avere una reale autonomia. Questo avviene in aziende che hanno forti profitti, con generose stock options per i dirigenti.

L'autunno sindacale che si presenta sarà movimentato per i call center: viene rinnovato il contratto dei metalmeccanici, che vogliono recuperare buona parte del potere d'acquisto perduto con aumenti consistenti e il contratto dei metalmeccanici è quello di riferimento per molti call center.

Si rinnova anche il biennio salariale per le aziende che aderiscono al contratto delle telecomunicazioni (da Wind a Teleclient del Gruppo Fiat): il banco di prova per un contratto che non è più solo Telecom Italia.

Questo accade in un contesto sindacale reso caldo dalla questione dell'art.18, dal dissenso tra Cgil-Cisl-Uil e Confidustria sul tasso d'inflazione programmata, in presenza di una ripresa dei processi inflattivi e in un momento di crisi per molti settori della New Economy.

Dobbiamo prevedere che i telefoni rimarrano zitti per più di qualche ora e i lavoratori dei call center faranno sentire la loro voce, una volta tanto, non solo per chiedere se possono essere utili.

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Pier Luigi Tolardo

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