Oltre al software libero, ci sarà anche un hardware libero? Considerazioni legali.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 10-02-2003]
Nel precedente articolo La truffa tecnologica ho mostrato alcuni trucchi dei produttori di hardware per cancellare funzioni dagli apparecchi che noi abbiamo acquistato regolarmente (telefonini, componenti PC, videocamere e via dicendo).
Ho espresso inoltre l'opinione che questo comportamento fosse moralmente fraudolento: lo stesso prodotto viene venduto con due prezzi, quindi una parte degli utilizzatori è frodata. Ho anche ipotizzato la motivazione di fondo di questi comportamenti: la riduzione dei costi di produzione e la massimizzazione dei ricavi di vendita, senza che questo abbia alleggerito l'antipatia verso questi produttori.
Ho concluso che tali operazioni sono rese possibili dalla presenza di cartelli tra i produttori, per cui c'è giustificazione e spazio per una contromossa da parte di noi utilizzatori. I cartelli, si sa, mostrano il loro lato aggressivo per coprire il loro lato debole. E ci sono due cose che temono più di tutto: la legge e l'informazione.
Nello specifico, si fa riferimento alla reverse engineering, proibita con un dispositivo legislativo internazionale (e ti pareva).
Che cos'è questa brutta bestia? Si tratta della decompilazione del software o della parte dello stesso inerente la protezione. Se paragoniamo il software ad un oggetto, è la stessa operazione che fanno molti bambini maneggioni quando aprono e smontano il giocattolo nuovo per vedere cosa c'è dentro. Avete presente quell'etichetta incollata su qualche componente delle nostre amate macchine elettroniche, con la scritta: "a chi apre questo apparecchio capiteranno cose terribili"? Qualcosa del genere.
In Italia, allo stato attuale, l'apertura del giocattolo non è punita in sé, ma solo quando serve per violare i diritti del titolare del software. In sostanza, non si possono decompilare le protezioni per distribuire illegalmente il software.
Cosa c'entra questo con le nostre macchinette? A buonsenso poco o niente, ma un'interpretazione estensiva del dettato legislativo potrebbe anche estendersi alle protezioni delle funzioni disabilitate degli apparecchi elettronici.
In sintesi, se dal mio telefonino libero una funzione tenuta prigioniera, faccio un intervento sul software di gestione. Questo software, teoricamente, è protetto dalla legge sul diritto di autore. Quindi compio tecnicamente un'operazione di reverse engineering. Perché questa operazione possa essere considerata illecita, in Italia occorre che il fine sia illecito, per esempio la diffusione di copie di tale software. E non è certo il nostro caso.
Cerco di riassumere il testo della legge vigente, del 22 aprile 1941, n. 633 "Protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio": la reverse engineering è vietata quando serve ad eludere protezioni contro la distribuzione pirata del software. E' permessa quando serve all'interoperabilità con altri software. Gli altri casi non sono previsti, dunque nulla si può dire.
In questi casi, ci si affida all'interpretazione dello spirito della legge. Ed è difficile immaginare che il legislatore consideri la disabilitazione di funzioni come un diritto degno di tutela.
Insomma, questa micro-battaglia, per la difesa di questo micro-diritto, ha buone probabilità di vittoria. Intanto andiamo avanti, senza paura.
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