Il Tribunale di Roma bastona Kim Dotcom: dovrà pagare 12 milioni di euro.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 20-07-2016]
Sono ormai passati quattro anni e mezzo dalla fine di Megaupload e del suo gemello Megavideo, specializzato nel permettere la condivisione dei video caricati dagli utenti.
Nonostante il tempo trascorso, i guai giudiziari per i siti creati da Kim Dotcom non sono ancora finiti: il Tribunale di Roma ha infatti appena condannato proprio Megavideo per fatti risalenti a sei anni fa.
Allora, nel 2010, Megavideo era all'apice della popolarità e non è un mistero che la maggior parte dei contenuti caricati e condivisi dagli utenti fosse pirata. Tra il materiale in violazione c'erano anche diverse trasmissioni di proprietà di RTI, società che fa parte del gruppo Mediaset.
Venuta a conoscenza della cosa, RTI inviò a Megavideo una richiesta di rimozione contenente la segnalazione del fatto che alcuni contenuti della società erano stati resi illegalmente disponibili tramite la piattaforma. Megavideo però fece orecchie da mercante, e la vicenda finì in tribunale.
Dal 2010 a oggi l'accusato ha avuto tutto il tempo di morire e svanire dalla Rete; tuttavia, nel frattempo la giustizia italiana ha fatto il suo - lento - corso.
Megavideo, che non esistendo da anni non ha nemmeno inviato dei rappresentanti in tribunale, è stato riconosciuto colpevole delle violazioni imputategli (oltre 16.000 minuti di trasmissioni condivise senza averne il diritto) ed è stato condannato a pagare 12 milioni di euro di danni, oltre che al pagamento di 60.000 euro di spese processuali.
La sentenza diventa poi un po' grottesca, o quantomeno distaccata dalla realtà, quando afferma che è stata fissata una penale pari a 1.000 euro «per ogni futura violazione»: considerando che Megavideo è da diverso tempo defunto e, nonostante gli annunci di Kim Dotcom, non pare intenzionato a risorgere a breve, la decisione del tribunale fa quasi sorridere.
Più interessante è un altro punto, quello in cui la richiesta di rimozione spedita da RTI è stata ritenuta sufficiente nonostante in essa non fossero presenti gli URL al materiale in violazione.
Di norma, un'azienda che accusi un sito di condividere illegalmente del materiale protetto da copyright si premura anche di indicare l'indirizzo di detto materiale. RTI non ha voluto fare tanta fatica, limitandosi invece a indicare il fatto che materiale di sua proprietà era disponibile tramite Megavideo, e il Tribunale di Roma ha deciso che anche in questo modo le informazioni erano sufficienti.
I giudici hanno ritenuto infatti che la fama dei programmi televisivi condivisi e la presenza dei loghi dei vari canali da cui essi provenivano all'interno dei filmati fosse abbastanza per dimostrare il reato.
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