Diritti umani calpestati. Diritti digitali? Non se ne parla nemmeno. Una riflessione sulla distanza tra il gigante dell'estremo oriente e il movimento, born in the USA, che si identifica nella filosofia GNU. Incolmabile.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 01-11-2004]
Nonostante il fallimento economico e politico della maggior parte dei regimi comunisti, la repubblica popolare cinese rimane lì, rocciosa e ingombrante, a ricordarci che quell'esperimento politico è ben lungi dall'essere morto.
Molto tempo fa, nel 1967, quando Bellocchio girò il suo "La Cina è vicina", c'era più di qualcuno a credere in un sistema di tipo socialista. Oggi, quasi nessuno giustifica o approva quei metodi violenti e autoritari. Il traballante rapporto della sinistra con la Cina si è definitivamente rotto nel 1989, quando il governo di Deng represse nel sangue la più grande e pacifica rivolta studentesca che la storia ricordi.
Al contrario, per tutti coloro che ora si oppongono agli effetti più deleteri della globalizzazione, dalle guerre imperialiste ai brevetti, dai monopoli allo sfruttamento della manodopera minorile, la Cina rappresenta uno dei maggiori nemici da combattere, soprattutto a causa della costante violazione dei diritti umani e, all'interno di questi, dei diritti digitali.
L'internet, il nostro maggiore strumento di libertà digitale, in Cina è sostanzialmente un'utopia. La Rete è rispettata come veicolo dell'economia, ma spaventa il governo per il suo impatto politico: i dissidenti potrebbero informarsi, organizzarsi e comunicare tra di loro. E allora si attua una censura serrata, attraverso schermi di controllo che evidenziano gli argomenti potenzialmente pericolosi (praticamente tutti) e oscurano le pagine che li contengono.
E ancora, si impedisce l'accesso ai siti stranieri e e si filtrano i motori di ricerca. Quando serve, si ricorre alla prigione per i cyberdissidenti: al primo aprile 2004, secondo RsF, erano almeno settantadue i reclusi, rei di sovvertire il potere dello stato, di accusare la Cina di praticare una forma erronea di democrazia.
Anche al di fuori del campo strettamente informatico, l'elenco prosegue con altre violazioni dei diritti umani: torture, esecuzioni capitali, diritto di stampa negato, abusi della psichiatria legale, trattamenti speciali riservati a portatori di handicap o di malattie infettive e terminali. È il caso di indignarsi? Penso proprio di sì.
Parallelamente, soprattutto durante la guerra dei centomila morti in Iraq, si è andata affermando l'identità antimperialista=antiamericano, come se non si potesse parlare di diritti dei palestinesi senza bruciare pubblicamente una bandiera a stelle e strisce. L'identità funziona anche in positivo (pro-USA = pro-imperialismo), visto che, spesso, la solidarietà con gli USA è utilizzata come veicolo per sentimenti razzisti. Quando, navigando in Rete, incappate nell'immagine della bandiera statunitense, se va bene è un blog anti-islamico. Se va male, vi trovate nel sito di Oriana Fallaci.
Inutile dire che questi schieramenti sono ridicoli. Gli Stati Uniti del Free Software, delle Creative Commons, ma anche della critical mass, di Michael Moore, di Noam Chomsky (e l'elenco potrebbe continuare a lungo), rappresentano una cultura molto vicina al nostro modo di pensare, nonostante le guerre di Bush, la libera vendita di armi, il sistema sanitario ingiusto e il regime alimentare straordinariamente ipercalorico.
I cronisti di destra ritengono ingiustificato l'accanimento del movimento contro le azioni scellerate made in USA, mentre appare loro sospetto il disinteresse che circonda i fatti, talvolta anche più gravi, accaduti in oriente. La spiegazione sta proprio nella vicinanza con la cultura e la democrazia americana, che fa percepire le cattive azioni in maniera ancor più odiosa, soprattutto quando si ha la sensazione, con le proteste, di poterle evitare o modificare. Per contro, nulla è più lontano, da questo movimento, della nuova Cina, che rappresenta sia il comunismo che il mercato selvaggio.
Paradossalmente, quest'ultima realtà ha molte più affinità con il capitalismo decadente di Bill Gates, George W. Bush e Silvio Berlusconi, che dei diritti, digitali e non, si sono sempre bellamente disinteressati. A loro la nuova Cina può offrire la sua stabilità politica (imposta con la forza) e monetaria, la conseguente affidabilità degli investimenti in loco, potenzialità di crescita e redditività inimmaginabili altrove, e un sistema di regole elastico in tema di energia e ambiente.
Come ai tempi del "Milione", i mercanti e i finanzieri più importanti snobbano quasi completamente i nostri mercati, e riversano tutte le loro risorse in un'economia molto simile al loro ideale filosofico, retta da uno stato di polizia, dominata da poche, potenti e gigantesche organizzazioni, dove la pianificazione dei profitti (e che profitti!) è molto più agevole che da noi. Più che l'ultimo baluardo del comunismo, la Cina rappresenta la nuova frontiera del malato capitalismo del ventunesimo secolo.
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