La diffusione della cultura tra difficoltà e divieti

Ai toni trionfalistici di Rutelli sul "rientro" in patria delle opere d'arte rubate e contrabbandate all'estero, si contrappone la tragica realtà della muffa, non solo storica, alle quale sono destinate; forse perché ne deteniamo oltre i nove decimi a livello mondiale.



[ZEUS News - www.zeusnews.it - 30-12-2007]

Thomas Dufranne

Già ne era trapelata qualche avvisaglia, peraltro completamente ignorata dai media tutti presi dalle (im)probabili crisi di governo, dai sequestri di persona e dalle morti -accidentali e non- quando non distratti dalle nuove su qualche capobastone appartenente all' "onorata società".

Col massimo rispetto per le vittime e per le forze dell'ordine, non si può tuttavia sottacere la pugnalata inferta alle spalle alla Cultura, una signora che da almeno 2500 anni abita in casa nostra; anzi sarebbe più corretto usare un tempo passato, visti gli effetti velenosi di una norma che in pratica ne limita la conoscenza a chi non abbia tempo e soldi da spendere.

Che alcune delle figlie di Mnemosyne fossero destinate a restare poco conosciute, ce lo aveva imposto alcuni anni addietro quella sciagurata legge Urbani relativa alle tutela giuridica delle opere opere dell'ingegno, che sembra redatta sotto dettatura delle major ansiose di tutelare i propri lauti proventi dalle royalty piuttosto che dalle tutto sommato scarse ricadute su autori ed editori.

Eppure un altro decreto legge, quel Codice dei beni culturali e del paesaggio, partorito dal medesimo personaggio e comunque poi puntualmente confermato e onorato dal Governo attualmente in carica, arrecherà danni ancora maggiori alla conoscenza e diffusione della cultura.

Quella cultura classica, quella cioè che è veramente patrimonio di tutta l'umanità; quella che si identifica con un periodo storico e lo definisce, quella che è in grado di spiegare i perché con una sola immagine in luogo di un tomo ponderoso, quella che dovrebbe essere sempre disponibile alla collettività anche e specialmente al di fuori delle aule scolastiche e universitarie.

Chi si occupa di fotocinematografia conosce bene la fine ingloriosa -anche questa passata sotto silenzio e nella più completa indifferenza- del patrimonio costituto dalle vecchie lastre (dei fratelli Alinari o dell'inventore del teleobiettivo Francesco Negri, tanto per fare due nomi), rigate, lasciate ammuffire in soffitte e scantinati dei musei e ormai irrecuperabili; sorte toccata anche ai primi tentativi dietro le macchine da presa di autori noti e meno noti ed ora persi per sempre.

Chi ha tempo, voglia e quattrini per visitare i nostri numerosi musei, sa bene quante sale restino perennemente chiuse con le scuse più diverse, ma quasi sempre riconducibili alla scarsa sorveglianza disponibile; e decine di migliaia di quadri, sculture, reperti archeologici sono a loro volta occultati in altre cantine e solai museali o dei palazzi storici, affidati all'onestà dei custodi almeno quanto al logorio del tempo.

Questo Codice Urbani tanto per essere chiari, è quello che ha recentemente imposto la cancellazione da Wikipedia delle fotografie e riproduzioni di opere d'arte in genere, la cui pubblicazione fosse avvenuta senza il preventivo assenso del detentore autorizzato degli originali; ma il legislatore ha evidentemente dimenticato che lo Stato o chi per esso è legittimato alla detenzione unicamente in nome del popolo, che ne è in effetti il proprietario.

Non è chi non veda la stortura ideologica nascente dal vietare per legge la pubblicazione sull'internet non solo delle opere visitabili nei musei, ma anche e soprattutto quelle normalmente celate agli sguardi, che con la diffusione dell'informatica potrebbero essere utilmente fatte riemergere e -ripulite- portate alla conoscenza di tutti gli interessati alle cose d'arte.

Sconsideratamente e genericamente esterofili come siamo, non siamo neppure stati capaci di copiare quanto all'estero già da tempo avviene, con quella limitazione del diritto d'autore denominata freedom of panorama che si applica non solo a siti ed edifici ma anche a riproduzioni di opere d'arte, vietando di farne oggetto di copyright e quindi di speculazione a danno della diffusione della cultura.

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Commenti all'articolo (3)

Dal link cortesemente fornito risulta che l'Editrice Alinari fa pagare un quid per le riproduzioni; dagli importi sembrerebbe poco lontano dal costo, alle tariffe professionali correnti. Ma anche qui nulla viene detto sulle perdite subite, né specificamente dalla raccolta Alinari né da altre collezioni mentre viene esaltato il dato... Leggi tutto
1-1-2008 20:55

{utente anonimo}
PETIZIONE Leggi tutto
31-12-2007 13:13

.Giorgio de Polo.
La diffusione della cultura tra difficoltà e divieti Leggi tutto
30-12-2007 22:26

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