L'impresa responsabile

Un libro-intervista a Luciano Gallino sulla figura di Adriano Olivetti.



[ZEUS News - www.zeusnews.it - 19-08-2003]

Da pochi giorni l'Olivetti non esiste più come impresa autonoma, regolarmente registrata e quotata in Borsa: è stata fusa con la sua controllata Telecom Italia e ha preso il nome di questa ma già da qualche anno era solo il simbolo di una grande storia industriale.

E'proprio Luciano Gallino, nel libro, dal titolo "L'impresa responsabile", in cui si fa intervistare da un collega sociologo Paolo Ceri a ricordarci che l'Olivetti è stata una delle prime imprese "global": con sedi commerciali a New York e stabilimenti in India, un "logo" conosciuto in tutto il mondo, dietro cui non c'erano sfruttamento dei minori e condizioni di vita disumane ma alti salari, ricerca della qualità della vita dei dipendenti, ricerca ed innovazione tecnologica.

Luciano Gallino è la persona più adatta a ricordare Adriano Olivetti, imprenditore "padre" dell'industria elettronica ed informatica italiana: entrato giovanissimo all'ufficio studi sociali dell'Olivetti, assunto direttamente da Adriano, si è formato come sociologo non negli studi accademici ma direttamente nell'Impresa e con lui tutti i maggiori studiosi di sociologia, scienza che ha introdotto Olivetti in Italia finanziando libri e ricerche, da Franco Ferrarotti a Pizzorno, Momigliano e altri.

Gallino ci ricorda come proprio verso la fine del '59, nei laboratori Olivetti di Borgolombardo, nasce l'Elea 9003, un mainframe formato da un gruppo di cabinets, con un'unità di elaborazione centrale interamente formata da transistor, che lavorava a una velocità, considerata allora elevatissima di oltre 100.000 operazioni al secondo.

Poi nel 1963 arriva l'Elea 4001, seguito dall'Elea 4115, tutte macchine competitive con i modelli IBM. Gallino ricorda inoltre, con emozione, di aver visto negli stessi laboratori nel 1958 un primo esemplare di microchip: una scheda di 8-10 cm di lato che incorporava un certo numero di semiconduttori, o transistor, prodotta in una camera sottovuoto, con la capacità di memorizzare poche migliaia di bit.

Infine ricorda il Programma 101 del 1965, uno dei primissimi elaboratori elettronici che poi sarebbero stati definiti desktop o Pc, senza monitor ma con stampa su rotoli di carta, come le calcolatrici elettromeccaniche, ma con tutte le funzioni interne elettroniche, circa dieci anni prima dell'Apple(1977)o dell'IBM(1981).

Viene ricordata l'invidia dei manager IBM per le capacità commerciali di Olivetti, per il suo gusto per il design, per l'eleganza e l'efficacia della comunicazione pubblicitaria dell'azienda italiana.

Gallino ci ricorda come tutto questo sia stato raggiunto con le capacità di autofinanziamento della stessa Olivetti, che non aveva voluto rimanere piccola, che reinvestiva gran parte degli utili nell'impresa stessa, in un tempo in cui la Borsa non aveva preso il sopravvento sull'industria reale. Mentre negli Usa - che poi ci hanno sorpassato - dopo la scomparsa di Adriano Olivetti, il boom dell'elettronica e dell'informatica è stato finanziato dalle commesse statali, soprattutto militari.

La figura dell'imprenditore Olivetti è una figura che, largamente in anticipo sui tempi, criticata, allora, dalla Confindustria e non compresa dalla Cgil, può essere tuttora un buon modello, anche se scarsamente seguito, purtroppo.

Adriano Olivetti investe in formazione come ancora oggi non si fa: scuole per meccanici dove c'è spazio per principi di economia e storia del movimento operaio e, poi, biblioteche,centri culturali, conferenze e spettacoli.

Chi scrive ha avuto modo di conoscere un ingegnere in pensione dell'Olivetti assunto giovanissimo da Adriano che ricordava così il suo colloquio assunzionale: "mi chiese subito dei miei studi del liceo classico, degli autori antichi che preferivo, poi mi disse che avrei dovuto seguire una rivista tecnica interna e per prepararmi avrei dovuto fare un viaggio negli Usa, e nel viaggio non avrei dovuto limitarmi a visitare le fabbriche ma anche le città, i monumenti, i musei.....".

Olivetti non è uno degli imprenditori odierni che sceglie di spostare le sue produzioni oggi in Moldavia, domani in Madagascar, per sfruttare il costo del lavoro più basso ma si identifica e identifica la sua fabbrica in un territorio preciso in cui la radica e in una città: Ivrea ed il Canavesano, pianifica l'impatto della produzione nel contesto ambientale, nel territorio distribuisce ricchezza e diffonde cultura, non vuole l'esodo forzato dai paesi intorno alla fabbrica, favorisce i trasporti pubblici e cerca di migliorare la qualità della vita anche dei piccoli paesi perché i giovani non li abbandonino.

Olivetti rispetterà sempre l'insegnamento di suo padre Camillo di "non licenziare mai": considera la forza lavoro la vera ricchezza dell'impresa, che se ne conosce bene i processi, se motivata, ben retribuita, formata, si identifica con l'impresa e ne fa la fortuna e questo senza attuare il clima di repressione antisindacale che caratterizza, per esempio, la Fiat in quegli stessi anni.

In Olivetti ci sono le cose che si vorrebbero fare adesso: asili nido e case per i lavoratori ma gestiti da un Consiglio eletto da tutti i dipendenti in modo autonomo.

Si tratta di un'utopia di democrazia personalista e comunitaria che Olivetti vorrebbe spingere fino al punto di consegnare la proprietà ad una Fondazione gestita dagli stessi dipendenti: un'ipotesi irrealizzabile perchè non condivisa dai suoi stessi familiari.

Oggi, nessuno ricorda più Adriano Olivetti e meno di tutti gli imprenditori come Tronchetti Provera e il Presidente della Confindustria D'Amato: peccato.

Scheda Libro
Titolo: L'impresa responsabile
Sottotitolo: Un'intervista su Adriano Olivetti
Autore: Luciano Gallino
Editore: Edizioni di Comunità
Prezzo: 12,39 euro

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Pier Luigi Tolardo

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