(S)privacy Story

Questa volta ci si mette pure la comunità Europea. E' allo studio una proposta di legge per creare un mega archivio di tutte le comunicazioni che avvengono online: una sorta di superosservatorio con dati fino a sette anni prima.



[ZEUS News - www.zeusnews.it - 17-05-2001]

Un colpo al cerchio ed uno alla botte: se in questi giorni la notizia di primo piano nella Comunità Europea è stata la firma di Microsoft all'accordo Safe Harbor che ammorbidisce i termini sulla privacy, oggi tiene invece banco una proposta di legge di senso opposto e molto restrittiva, persino preoccupante potremmo dire.

Ma andiamo con ordine. Il Safe Harbor Act è una sorta di contratto stilato da USA e UE per tutelare il trattamento dei dati di cittadini europei da parte di imprese statunitensi nell'ambito delle loro attività commerciali. Il patto Safe Harbor prevede l'applicazione di norme sulla privacy anche ad imprese USA che svolgano la loro attività nei confronti di cittadini europei; tuttavia, nonostante le critiche di eccessiva ristrettezza da parte americana, la disciplina concordata è molto meno vincolante ed onerosa di quella vigente per le imprese della Comunità.

L'onere più pesante che gli zii d'america dovranno sopportare sarà quello di non comunicare i dati di utenti europei a imprese e/o soggetti residenti in stati che non soddisfano i criteri di riservatezza e privacy richiesti dalla UE. Inoltre il patto avrà natura di vero e proprio contratto, cioè sarà valido solo per quelle imprese che decideranno di sottoscriverlo, così come ha fatto Microsoft, e che rispettandolo si assicureranno l'imperseguibilità sulla base della normale disciplina relativa al trattamento dei dati personali.

Non appena apposta una firma autorevole a questo accordo, che peraltro avrà validità a partire dal 1 Luglio, la Comunità Europea si è sbizzarrita ad ideare nuovi metodi di ferreo controllo sulle attività dei naviganti.

E' di questi giorni infatti la proposta di legge che se approvata obbligherà i provider di tutta Europa a mantenere per sette anni un archivio completo di tutti collegamenti ed il traffico Internet generato dai propri utenti, nonché tenere traccia di tutte le email che transitino per i propri server. L'obiettivo è quello di creare un super database internazionale che permetta all'europol di poter accedere in qualsiasi momento ad informazioni sulle comunicazioni e transazioni effettuate negli anni con qualunque parte del mondo all'interno della UE.

La proposta ha sollevato non poche polemiche, non solo fra gli utenti ovviamente spaventati dall'eventualità di vedere tracciate nel dettaglio tutte le loro mosse in rete, ma anche fra gli Internet Provider, che si vedrebbero attribuire un ruolo eccessivamente oneroso. Essi lamentano il fatto di doversi assumere la responsabilità legale della manutenzione di tutta una serie di dati molto delicati, per un numero elevato di anni e di poterli rendere consultabili sempre agli organi di polizia della Comunità Europea. Gli ISP sostengono a ragione di essere dei meri fornitori di accesso e di non poter sopportare i costi di un tale incarico di responsabilità. Non è il loro compito fare i poliziotti.

Mentre da un lato si concede quindi la possibilità alle imprese americane di gestire in modo abbastanza flessibile i dati dei loro utenti residenti nella UE, presentando quindi un governo Europeo che si ritira da ingenerenze nella sfera della privacy del cittadino, dall'altro lato proprio questi stessi cittadini potrebbero venir sottoposti a pesanti controlli da parte degli organi di polizia comunitaria. Internet dunque rischia di diventare un vero e proprio sistema di spionaggio riservato a pochi membri della sicurezza internazionale, in grado di accedere liberamente ai dati di tutti i navigatori Internet. Sembra proprio che i governanti vogliano indurre le persone a nutrire sempre maggior diffidenza nella rete...

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