Un collegamento a una pagina Web contenente materiale diffamatorio non rende immediatamente complici dello stesso reato: così ha stabilito un giudice canadese.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 30-10-2008]
Come sanno bene certi blogger, pubblicare le proprie opinioni su qualcuno espone al rischio che questo qualcuno si offenda e passi alle vie legali, accusando l'autore di diffamazione.
Perché l'azione legale abbia fondamento, però, ci vuole qualcosa di solido: non basta includere nei propri scritti un link a un sito in cui si parla male di qualcuno. Un link, da solo, è più simile "a una nota a piè di pagina che a una ripubblicazione" e pertanto non può essere considerato un mezzo per diffamare qualcuno.
Questa è, in sintesi, la decisione della Corte Suprema della Columbia Britannica, presieduta dal giudice Stephen Kelleher, chiamata a decidere la colpevolezza o l'innocenza del sito p2pnet.
Crookes aveva quindi denunciato Newton e p2pnet ma il giudice Kelleher ha ritenuto che il link, da solo, non fosse sufficiente per sostenere l'accusa di diffamazione.
Il motivo per questa decisione è la mancanza di un contesto che rendesse esplicita un'eventuale volontà diffamatora di Newton: "Per esempio" - ha spiegato il giudice - "se il signor Newton avesse scritto "la verità su Wayne Crookes si trova qui" e "qui" fosse stato un hyperlink a specifiche parole diffamatorie, ciò avrebbe portato a una conclusione diversa".
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