Telecomunicazioni e concorrenza, che bella utopia

Lentamente, qualcosa sta cambiando.



[ZEUS News - www.zeusnews.it - 07-11-2001]

Torna alla terza parte: Monopolio naturale, dunque, ma non solo...

Tutto ciò spiega perché, quando il mercato delle telecomuicazioni fu aperto ad altri operatori, questi concentrarono la loro offerta nel segmento della telefonia in teleselezione: dati gli elevati margini concessi a Telecom, essi erano in grado di acquistare da questa la connettività e limitarsi a rivendere il servizio a tariffe inferiori a quelle praticate dalla Telecom stessa, conservando comunque un interessante margine di profitto. Stando così le cose, per i nuovi operatori non vi è alcun incentivo ad effettuare investimenti nelle infrastrutture. Inoltre, essi possono sopravvivere sul mercato anche qualora si rivelino meno efficienti di Telecom: proprio perché il margine di manovra dei prezzi è molto ampio, essi possono lucrare pur sostenendo costi maggiori di Telecom Italia per produrre il loro servizio. Telecom, da parte sua, è disincentivata dall'investire: perché essere la sola a sostenere gli elevati costi infrastrutturali, per poi subire più pesantemente ancora le tariffe aggressive dei concorrenti?

Le offerte alternative di telefonia urbana sono ben più recenti dell'apertura del mercato e la differenza tra le tariffe di Telecom e quelle dei nuovi operatori è assai meno marcata che nella telefonia su lunga distanza. Del resto, essendo il margine di lucro decisamente ridotto, se non assente, solo chi realizza sufficienti profitti in altri segmenti di mercato può avere una certa libertà di manovra sui prezzi. Naturalmente, grazie al controllo quasi totale della rete, l'unica impresa in grado di integrare davvero l'offerta di servizi nei diversi settori del mercato e compensare le perdite sofferte in uno di questi con i profitti realizzati negli altri è, indovinate un po', proprio Telecom. Con buona pace della concorrenza.

A conferma di quanto affermato, l'Antitrust ha recentemente emesso verdetti di colpevolezza nei confronti di Telecom per abuso di posizione dominante.

Ma se concorrenza significa, tra l'altro, allineare i prezzi ai costi, allora è necessario eliminare le incongruenze, poc'anzi descritte, che caratterizzano la struttura tariffaria di Telecom. Da qualche anno ci si muove proprio in tale direzione e, infatti, è cambiato il criterio con il quale vengono stabilite le tariffe. Invece di garantire a Telecom la completa copertura dei costi, l'Autorità Garante per le Telecomunicazioni stabilisce periodicamente, secondo criteri di opportuna politica economica, un tasso di recupero di produttività, sottraendo il quale dal tasso di inflazione programmata si ottiene il coefficiente di variazione delle tariffe. Per fare un esempio, se l'inflazione programmata è pari all'1,5% e il tasso di recupero di produttività viene fissato al 4%, le tariffe di Telecom dovranno scendere all'incirca del 2,5%. In questo caso, è evidente l'incentivo al contenimento dei costi; tuttavia può accadere che l'obbiettivo venga raggiunto "tagliando" gli investimenti. Nella realtà, viene stabilito un tasso di recupero differente per ciascuno dei segmenti principali di mercato in cui Telecom opera: con i valori attualmente in vigore, la conseguenza nel prossimo futuro (e che stiamo già "sperimentando" da un po') sarà una crescita consistente del canone e delle tariffe di telefonia urbana e un abbattimento delle tariffe delle chiamate in teleselezione, come, del resto, ci si doveva aspettare.

Non occorre un fiuto da segugi per capire che la telefonia di base non è più considerata un bene sociale: in parole povere, i costi della concorrenza saranno a carico delle famiglie e, in genere, delle fasce sociali meno abbienti; nel lungo termine, essi dovrebbero essere compensati dalla redistribuzione dei sovraprofitti da monopolio, come si accennava in apertura. Ma sarà proprio così?

Vale la pena di chiedersi se tali politiche, volte a guidare il mercato delle telecomunicazioni verso un regime maggiormente concorrenziale, siano destinate al successo. Attualmente, in Italia, le licenze concesse per operare nelle telecomunicazioni sono circa 180; di queste, 150 circa sono, al momento, utilizzate da imprese effettivamente operanti nel settore. Tuttavia, Telecom (a dispetto del pianto greco quotidiano sugli effetti della concorrenza, sugli esuberi di personale, e quant'altro) controlla quasi il 90% del mercato in termini di fatturato e il 97% della rete. E' concorrenza, questa?

No. E' evidente che gli altri operatori sono tutti, o quasi tutti, operatori di nicchia: nel medio periodo solo i più efficienti potranno sopravvivere e, in ogni caso, sarà molto difficile avere un mercato davvero concorrenziale senza che siano effettuati massicci investimenti per creare reti alternative a quella Telecom, sottraendole così quel monopolio tecnologico di fatto che la pone in una posizione dominante di assoluto rilievo.

Leggi la quinta parte: Quale futuro?

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